Il programma della letteratura che diventa filosofia. L’intervistata di Edward Hirsch a Susan Sontag per la Paris Review

Il programma della letteratura che diventa filosofia. L’intervistata di Edward Hirsch a Susan Sontag per la Paris Review

Nell’inverno del 1995, Susan Sontag è stata intervistata da Edward Hirsch per la Paris Review. Vale la pena di rileggere l’intervista.

Alcuni punti ci hanno colpito. Bisogna imparare a leggere. “È da Burke che ho imparato a leggere”, dice Sontag. Esiste una  capacità di analizzare criticamente i testi. Burke, con il metodo di scomposizione dei testi, le ha trasmesso l’importanza della lettura come mezzo per comprendere profondamente le intenzioni e le sfumature degli autori. La capacità di leggere, leggere anche tra le righe e di cogliere il significato intrinseco di un testo ha informato tutta la carriera di Sontag come scrittrice e pensatrice.

La filosofia della scrittura di Susan Sontag è intrinsecamente legata alla sua visione del mondo e alla sua formazione filosofica. La scrittura non è solo come un mezzo per esprimere idee, ma è un modo per esplorare il significato della vita. In linea con la grande tradizione della letteratura russa del XIX secolo, la questione è “come si dovrebbe vivere”. La letteratura dovrebbe servire come un’educazione del sentimentale, ampliando la comprensione delle possibilità umane e del comportamento morale.

La narrativa  è più liberatoria rispetto ai saggi, perché offre maggiore libertà di esplorazione e narrazione. Ha (o potrebbe avere) la capacità di integrare intuizioni filosofiche. Il programma, non nuovo, è quello di una letteratura che non sia solo un esercizio estetico, ma un mezzo per interrogare e comprendere la condizione umana.

Tutto questo è possibile nel mondo accademico? Nonostante il rispetto per l’ambiente accademico, Sontag ha scelto di allontanarsi dalla carriera accademica, percependo un’incompatibilità tra la vita accademica e quella di scrittrice creativa. “Ho visto la vita accademica distruggere i migliori scrittori della mia generazione”, ha affermato, riflettendo la sua convinzione che la vera scrittura richieda un impegno personale e una libertà intellettuale che l’accademia raramente offre. E, aggiungiamo qui, non dovrebbe offrire, se il lavoro che si propone non è quello dello storico.