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Giovanni Perazzoli, nota su Benedetto Croce, “L’Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla Guerra”
Benedetto Croce, L’Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla Guerra, a cura di C. Nitsch, Bibliopolis, Napoli, 2018, p. 520.
1.
In questo periodo di «sovranismo» produce un certo effetto rileggere gli articoli e i saggi che Benedetto Croce scrisse negli anni della partecipazione dell’Italia alla Prima guerra mondiale e che poi raccolse in Pagine sulla guerra. La situazione di oggi non è naturalmente paragonabile a quella della Prima guerra mondiale, è tuttavia possibile percepire un grammo dell’irrazionalità nazionalistica, del disprezzo della elementare evidenza dei fatti, del conformismo militante e di quel fenomeno tipico della crisi delle società liberali che di colpo unisce i radicalismi antiliberali. Il diffondersi del nazionalismo, che adesso viene detto ‘sovranismo’, è stato velocissimo. Anche il ‘pensiero critico’, con buona pace dell’educazione alla diffidenza per le passioni nazionaliste, si è allineato al tono di guerra ideologica, rivendicando un ‘sovranismo alternativo’.
Su scala più grande, le Pagine sulla guerra di Benedetto Croce sono percorse da una costernata presa d’atto dell’improvviso crollo della ragione davanti alla ‘propaganda patriottica’. Le tesi più assurde vengono credute, se soddisfano il nazionalismo. Croce era contrario all’intervento in guerra dell’Italia. Le Pagine sulla guerra, tuttavia, non sono una polemica contro l’intervento; il tema che s’impone in chiave filosofica e politico-etica è quello delle passioni e il loro possibile (o impossibile) rapporto con l’universale (e viceversa: la possibilità dell’universale di riflettersi nella politica). Nel considerare il rapporto tra le passioni e l’universale occorre tenere presente il sistema di Croce, che legge questa questione nel senso della risoluzione dell’economico (utile-economico, l’interesse individuale) nel superiore universale etico. Le Pagine sulla guerra inseguono la questione non dominandola, e anzi lasciando vedere un problema aperto o irrisolto nella Filosofia dello spirito.
2.
Basterebbe leggere poche righe di Pagine sulla guerra per comprendere che la post-verità, di cui si parla oggi, è sempre esistita. Non è mai esistita, del resto, un’epoca della verità. La distinzione stessa tra diverse pretese «epoche della verità» è un esempio di produzione mitologica di un tipo di saggistica, che dovrebbe essere (ma che spesso non è) non-fiction (come si dice in inglese). Peraltro, solo la verità può essere criterio della non verità.
Croce è sorpreso nel dover constatare la facilità con la quale gli uomini di scienza e di cultura sono corsi a mischiarsi alle frottole dei nazionalisti, come se si fosse aspettato che l’adesione alla causa della patria potesse essere distinta, negli uomini di scienza, dalla guerra guerreggiata. In una intervista del 30 settembre 1915, il tono delle domande dà un’idea del clima. Gli viene chiesto se abbia letto gli articoli di Guglielmo Ferrero che lo accusano di ‘germanofilia’. Croce risponde che è legittimo respingere con sdegno le critiche arbitrarie e polemiche che Ferrero accumula contro la scienza tedesca, semplicemente per il fatto che sono critiche sbagliate. L’universale della scienza non è coinvolto nello scontro degli interessi particolari. Dunque, gli errori storici e scientifici in cui cade Ferraro restano tali. Del resto, aggiunge Croce con ironia, «non credo che gli articoli del Ferrero facciano parte delle operazioni militari italiane, e che attorno ad essi sia doveroso e patriottico il silenzio».
Ma allora – incalza il giornale – l’originalità italiana? L’originalità italiana non è compromessa dallo studio della scienza e della cultura tedesca? Croce risponde che «sarebbe curioso che, per mantenersi originali, convenisse serbarsi verginalmente ignoranti». Gli viene chiesto, allora, se non è dunque la «cultura tedesca» che ha avuto «come conseguenza» la guerra. «No», replica Croce, «nessuna teoria scientifica […] può determinare immediatamente, per logica inferenza questa o quella azione concreta. La responsabilità della presente politica tedesca è degli uomini politici tedeschi, e del popolo, e anche degli scienziati, ma solo in quanto fanno, non già della scienza, ma della politica». La scienza, se è vera scienza, «è sempre superiore ai partiti politici e alle contese nazionali».
E allora come valuta le «crudeltà di cui sono stati accusati i tedeschi?». Croce risponde che l’accusa di crudeltà, «col sussidio documentario di foto, spacciate come autentiche», è stata mossa per tanti popoli in tante guerre recenti, e ricorda al suo intervistatore che il matematico e filosofo inglese Bertrand Russell aveva da poco dimostrato la falsità della propaganda francese che asseriva che i tedeschi avessero mozzato il naso a una fanciulla. Poi fa l’elenco delle mistificazioni delle guerre di tutti i tempi. Poi arriva al punto. In ultima analisi, dice Croce, queste sono questioni non pertinenti con la guerra. Perché «affannarsi in codeste indagini»? Infatti, fosse anche la Germania «il modello di tutte le virtù umane», resta il fatto che «ora è nostra avversaria, perché ha sotto la sua protezione l’Austria, che conculcava i nostri interessi nazionali».
Questo punto è centrale. Non importa da quale parte sia la virtù, non importa chi sia, come dicono gli americani, il bad guy, l’unica cosa che importa è che oggi dobbiamo stare dalla parte della nostra patria. Fuori discussione è, per Croce, il rispetto dell’umanità del nemico e il fatto che l’«ideologia del torto e della ragione della guerra giusta e della guerra ingiusta»sia nient’altro che un «sofisma che è affatto analogo a quello, tanto schernito, degli economisti scolastici, i quali pretendevano fissare a priori fuori dalla concorrenza, fuori dal mercato, il iustum pretium, il prezzo giusto delle cose». Si tratta, in un caso come nell’altro, di giudizi che si pretendono assoluti, mentre sono mossi, come non potrebbe non essere, da una visione particolare, e dunque relativa. Quindi è solo moralismo fazioso quello di chi ha bisogno di elevare il proprio motivo particolare a valore universale.
Persa la battaglia che Croce aveva combattuto per la neutralità dell’Italia, essendo adesso la guerra un fatto, occorre sperare – questa la posizione di Croce – nella vittoria del proprio paese. Senza tuttavia negare, questa l’idea di Croce, l’umanità dei paesi nemici e la loro ragion di stato, che è legittima ma diversa e opposta a quella dell’Italia. Si avverte che si tratta di una visione debole.
3.
Le Pagine sulla guerra nascono nella testa di un filosofo, hanno sullo sfondo un sistema di categorie. E c’è qualcosa che non torna. Croce deve (dovrebbe, da filosofo) dedurre la propria posizione, il che significa offrire un quid iuris che legittimi il sostegno per il proprio paese nella propria prospettiva filosofica.
Interessante il fatto che non si trovi, nel libro, una vera discussione delle ragioni italiane per la guerra. C’è invece una continua difesa di una tesi di filosofia politica, la tesi della politica come forza e del conflitto tra gli stati. Nonostante Croce vedesse nell’irrazionalismo o nel sensualismo un deposito di sciagure, l’enormità della Prima guerra mondiale sembra sfuggire al suo orizzonte categoriale. In ogni caso, non gli sembra che l’Italia avesse davvero una ragion di stato da seguire che motivasse la partecipazione alla guerra.
Croce vede chiaramente che dl conflitto verranno sciagure enormi. Il 24 maggio 1918 scrive: «tutti coloro che dapprima si ostinavano ad impicciolire la realtà che avevano innanzi, sanno ora di che cosa si tratti. Né più né meno che delle sorti del mondo intero, che da questa guerra saranno determinate per secoli». Nel 2022 possiamo confermare quanto l’oggi sia ancora nell’orizzonte degli sconvolgimenti prodotti dalla più assurda e sanguinosa delle guerre mai combattute. La Prima guerra mondiale ha cambiato radicalmente la storia europea e del mondo. Basti considerare i cambiamenti politici avvenuti in Russia, la rivoluzione, la separazione della Russia dal contesto politico europeo. Per non dire che la Prima guerra mondiale ha poi generato la Seconda.
Il disprezzo per l’universale della scienza a favore del nazionalismo è poi un segnale di decadenza. È difficile leggere le Pagine della guerra senza vedervi, sullo sfondo, la preoccupazione di Croce per l’emergere dell’irrazionalismo antiscientifico e per il credito cieco dato alle passioni. Si tratta, nella sua ottica, di un cambiamento epocale della civiltà europea. Difficile, peraltro, non vedere le premesse che porteranno al fascismo, ai totalitarismi di destra e di sinistra, alla menzogna razziale. Diversi anni dopo, Croce irriderà uno storico tedesco che, scrive, in tempi migliori lo raggiungeva nella sua casa a Napoli per mostragli i suoi lavori, che erano modesti ma «puliti», e che ora, passato tutto baldanzoso al nazismo, si erano riempiti di goffe scempiaggini razziste.
4.
Sotto questa luce ritorna continuamente una domanda: perché occorre prendere parte alla guerra? È sufficiente, per legittimare la partecipazione alle sorti della patria, il fatto stesso che la propria patria sia in guerra? Che cosa comanda, in termini universali e morali (non solo utili-economici), la partecipazione a un’orgia di follia?
Ora, nonostante le affermazioni risolute, la necessità di servire la patria, e la distinzione di ambiti, le risposte mancano. Croce racconta, ad esempio, della triste vicenda di un giovanissimo volontario tedesco, brillante negli studi, che muore sul fronte. Non era forse la sua ragione per la partecipazione alla guerra altrettanto nobile di quella degli altri, dei suoi nemici, e cioè della parte a cui Croce appartiene?
La Prima guerra mondiale è un evento catastrofico che inizia senza un’evidente ragione. La storiografia ha tentato molte spiegazioni, ma il fatto stesso che le ragioni di una guerra si cerchino, significa che non sono evidenti, e che non sono tali da renderla una fatto difficilmente eludibile. Come si può partecipare a una guerra di cui non è evidente la ragione? L’unica ragione che Croce trova è quella della salvezza della patria, che però è circolare, perché presuppone l’entrata in guerra della patria. Se ce ne fosse stata un’altra evidentemente avrebbe occupato le pagine di Croce.
L’enormità della Prima guerra mondiale porterà Croce a rivedere il suo sistema, a togliergli quel senso di completezza risolta che aveva. Come ha scritto Gennaro Sasso nel suo libro del 1975, Benedetto Croce. La ricerca della dialettica, bisogna notare che le Pagine sulla guerra sono un documento di un processo di revisione della filosofia di Croce. In L’ufficio degli oratori e i doveri degli scienziati, Croce rivolge a se stesso un’obiezione che rimanda a un «frammento di etica» dal titolo Dire la verità (i Frammenti di etica raccoglieranno degli scritti apparsi a partire dal 1915 su «La Critica»). Il senso dell’obiezione che Croce rivolge a se stesso è: se per lanciare i soldati all’assalto non bisogna dire loro la verità (la verità è che molti di loro moriranno), su quale base è poi possibile criticare la propaganda nazionalista che fa credere che il nemico sia disumano?
La risposta per Croce è che le parole di incitazione sono strumenti, mezzi, sono prassi: mirano a produrre coraggio e forza. Nella prassi c’è solo il rapporto adeguato dei mezzi e dei fini. Tutt’altra cosa per la teoria. Mentre la scienza deve continuare sulla strada della verità poiché non esistono verità pericolose («la teoria della verità e della scienza “pericolose” attacca e corrompe la vita stessa della scienza»), le parole di incitazione «non avendo valore teorico né di vero né di falso» hanno come unico scopo quello servire alla vita. Dunque, la verità può essere ostile alla vita, mentre nella pratica «non c’è né illusione né menzogna: non c’è altro che la vita, la vita nella sua spontaneità, intenta a procurarsi stimoli per mantenersi e crescere su sé stessa». L’illusione, aggiunge Croce, non è sempre in se stessa illusione, perché la vita stessa è illusione, e distruggerla è distruggere la vita. Dire che la vita è allora ‘solo illusione’ è, di nuovo, non tenere presente che la vita è in se stessa un valore.
Sono tesi che appaiono comprensibili e insieme incomplete. Sta di fatto che il giudizio di Croce si rovescerà del tutto per la Seconda guerra mondiale. Se scrivendo della Prima guerra mondiale Croce sottolinea mille volte che non è sbagliato considerarla nella prospettiva di una opposizione tra bene e male, per la Seconda dirà il contrario. Adesso la guerra dove essere combattuta, contro l’Italia e contro la Germania, come fosse una guerra di religione. L’Italia avrebbe dovuto perdere per il bene di se stessa.
Un altro aspetto che emerge dalle Pagine sulla guerra è l’isolamento di Croce. Ancora oggi è facile trovare chi lo confonde con una specie di sostenitore del fascismo, mentre fu il capofila dell’antifascismo, fu l’estensore del Manifesto degli intellettuali antifascisti. Karl Löwith lo ricorda nella propria autobiografia per averlo aiutato (con Giovanni Gentile) a mettersi in salvo dalle persecuzioni razziali. Croce difese Piero Gobetti fino alla fine, e fu l’unico a farlo pubblicamente. I suoi libri saranno osteggiati dal fascismo, la sua casa distrutta. Ma le Pagine sulla Guerra mostrano che Croce era già stato maltrattato dalla pubblicistica nazionalista per le sue posizioni sulla Prima guerra mondiale: per i nazionalisti interventisti era infatti un «filotedesco». Passati un po’ di anni, divenne per i fascisti, «antitedesco», e un «imboscato della storia», come disse Mussolini. Dopo la Seconda guerra mondiale, inizia la cattiva stampa di Togliatti: adesso Croce è il filosofo liberale filofascista, e questo perché si possa dire che il solo antifascismo e la sua visione progressista è il Pci (per fare luce su questa operazione politico-culturale, sono da leggere le pagine di N. Ajello, Il lungo addio. Intellettuali e PCI dal 1958 al 1991, Laterza, Roma-Bari 1997). Molti anni prima, in difesa di Benedetto Croce, il giovanissimo Piero Gobetti scrisse che, ad accusarlo, erano i soliti ‘botoli ringhianti’, una categoria che prese posizioni sempre diverse, ma sempre, in fondo, ostili al liberalismo di Benedetto Croce.