Ma Dante era “orientalista”? Edward W. Said aveva torto.

Ma Dante era “orientalista”? Edward W. Said aveva torto.

Dante Alighieri, uomo di passioni e di fervori intellettuali, viene talvolta accusato di essere stato “anti-islamico”, “eurocentrico” e persino un precursore dell’“orientalismo” – un’idea che, a voler essere gentili, è degna del teatro dell’assurdo. Edward W. Said, autore del famoso “Orientalismo”, ha deciso che Dante, collocando Maometto e Alì tra i seminatori di discordia (Inferno, Canto XXVIII), avesse contribuito a creare la narrazione oppressiva e coloniale che l’Occidente avrebbe poi imposto all’Oriente. Detta così, sembrerebbe che Dante fosse un editorialista del ventesimo secolo, abile nel maneggiare le opinioni come spade, più che un uomo del Trecento immerso in dispute teologiche e filosofiche.

In realtà, è vero esattamente il contrario: se c’è un autore che ha avuto uno sguardo sul mondo “islamico” e sulla sua cultura, è stato Dante. Il poeta non solo conosceva il pensiero proveniente da quel contesto, ma ebbe il coraggio di valorizzare figure come Averroè, Avicenna, che nell’Europa del suo tempo non erano “rischiosi” perché musulmani, ma perché rappresentavano un pensiero razionale e autonomo. Dante riconobbe il valore di questi autori non per la loro origine culturale, ma per il contributo alla filosofia, alla scienza e alla riflessione morale, in un’epoca in cui l’influenza di tali figure era dibattuta e, talvolta, persino temuta.

Averroè, “colui che ’l gran commento feo” (Inferno IV, 144), è posto tra gli spiriti magni del Limbo, accanto a figure come Aristotele, Socrate e Omero. La sua inclusione non riflette alcun interesse per la sua origine araba o per la sua appartenenza religiosa, ma un riconoscimento del suo contributo alla trasmissione e interpretazione del pensiero aristotelico. Averroè è qui l’esempio di come il sapere possa trascendere ogni confine culturale e farsi patrimonio universale, al di là del contesto in cui è nato.

Lo stesso vale per Saladino, collocato anch’egli nel Limbo. La sua presenza non è legata alla sua fede o al suo ruolo politico, ma alle qualità di grandezza morale e magnanimità che lo contraddistinsero. Saladino non è celebrato in quanto musulmano, né nonostante il fatto di esserlo: la sua religione è irrilevante rispetto al valore che Dante attribuisce alle sue virtù individuali. Questo atteggiamento è emblematico dell’approccio del poeta, che giudica le figure storiche e intellettuali per il loro contributo al progresso umano, non per la loro appartenenza culturale.

Un caso ancora più significativo è quello di Sigieri di Brabante, che Dante colloca nel cielo del Sole, accanto a Tommaso d’Aquino e agli altri luminari della sapienza (Paradiso X). Sigieri, noto per le sue tesi filosofiche ispirate all’averroismo latino, fu una figura controversa e subì le conseguenze delle Condanne di Parigi (1270 e 1277), che censuravano dottrine considerate incompatibili con l’ortodossia cristiana.  Dante non esita a riconoscerne il valore intellettuale e il coraggio speculativo. Anzi, Dante stesso era vicino all’averroismo, come si vede nella Monarchia.

La collocazione di Maometto e Alì nell’Inferno risponde a criteri completamente diversi. La loro presenza tra i seminatori di discordia non va interpretata come un giudizio sull’Islam, della cui realtà religiosa, peraltro è anche discutibile che Dante avesse cont in quanto religione, ma come un’allegoria morale. Dante non si interessa a condannare una cultura o una fede, bensì a rappresentare il concetto di divisione come peccato, in un quadro che riflette le tensioni teologiche del suo tempo. L’intento non è politico o ideologico, ma etico e universale. Questo anche perché Dante seguiva in parte la tradizione medievale che considerava l’Islam come una deviazione del Cristianesimo.  l’Islam non era  una religione separata ma piuttosto un’eresia cristiana derivata dalla deviazione dalla vera fede. Questo è evidente appunto   nella Divina Commedia. Dante colloca Maometto e il suo genero Alì nella nona bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno (canto XXVIII), dove sono puniti i seminatori di discordia e di scisma. La collocazione di Maometto tra gli scismatici, piuttosto che tra gli infedeli o i non credenti, riflette la visione medievale dell’Islam come eresia cristiana. È interpretazione era comune nel Medioevo cristiano, che vedeva Maometto come un cristiano che aveva deviato dalla vera fede creando una nuova setta. Le leggende medievali sulla vita di Maometto  lo dipingevano come un cardinale cristiano che, non essendo stato eletto papa, aveva fondato una nuova religione per vendetta.

Dante non era  orientato a subordinare altre tradizioni culturali; al contrario, il suo approccio dimostra un’apertura intellettuale che supera le barriere geografiche e confessionali. La sua opera costruisce un dialogo ideale tra le grandi menti del passato, valorizzando le idee per ciò che rappresentano e non per il loro contesto d’origine. In questo senso, la Divina Commedia non è un manifesto di potere culturale, ma una celebrazione dell’universalità del sapere e della ricerca della verità. Dante scriveva per indagare l’ordine del cosmo e i dilemmi dell’anima umana, non per sostenere narrative di dominio. E questo, per quanto sembri semplice, è il segno più evidente della sua grandezza intellettuale.