Ricordare l’identico: sulle prime fasi di sviluppo della nozione di…
La “facoltà dell’immagine” di Emilio Garroni e il suo contributo alla ricerca contemporanea sulla percezione, i “contenuti non concettuali” e l’immaginazione
di Stefano Velotti >
“L’ultimo libro di Emilio Garroni, Immagine Linguaggio Figura, è in parte una ripresa e un ripensamento di alcuni temi trattati quasi trent’anni prima in Ricognizione della semiotica. Da una rielaborazione dei problemi abbozzati in questo volume del 1977, e grazie a un’assidua interpretazione e rielaborazione del pensiero kantiano, Garroni arriva a precisare il rapporto tra le due dimensioni irriducibili della sensibilità e dell’intelletto in termini di «“facoltà dell’immagine”», da un lato, e di linguaggio e concetti, dall’altro. Nonostante Immagine Linguaggio Figura nomini fin dal titolo il problema della relazione tra queste due dimensioni correlate ma kantianamente irriducibili dell’esperienza umana, lo statuto del linguaggio non è qui affrontato nella sua problematicità complessiva all’interno di tale esperienza, ma solo in relazione all’«immagine interna», che deve essere considerata «la premessa e la garanzia della realtà del significato delle parole del linguaggio». Naturalmente, non bisogna cadere nell’errore di considerare le «immagini interne» come «figure», (Bilder, pictures) che avremmo nella mente. Garroni conosce bene la critica wittgensteiniana a quest’idea tradizionale e insostenibile. Anzi, si potrebbe considerare la teoria dell’«immagine interna» come una lunga e meditata replica a chi confonde la critica di Wittgenstein con un rifiuto di attribuire ogni valore cognitivo o semantico alla nostra attività percettivo-immaginativa, per attenersi al solo linguaggio. Per integrare quanto è implicito nel libro a questo riguardo, credo sia opportuno tenere presente l’articolo che Garroni ha dedicato a Minisemantica di Tullio De Mauro [5] nel 1998, caratteristicamente intitolato L’indeterminatezza semantica, una questione liminare.
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Sia sul versante della percezione e dell’immagine, sia su quello del linguaggio e dei concetti, troviamo infatti in quest’articolo quella correlazione di determinato e indeterminato che è forse il nodo teorico che Garroni ha pensato più a fondo e nelle sue molteplici articolazioni: il «paradosso fondante» della filosofia, ma anche dell’esperienza comune – di cui Garroni parla prima nella voce i Paradossi dell’esperienza scritta per l’Enciclopedia Einaudi, e poi in Senso e paradosso – non è altro che un’antinomia inevitabile, modellata sull’antinomia della facoltà di giudizio della terza Critica kantiana. La relazione paradossale tra determinatezza e indeterminatezza è al centro sia della trattazione della facoltà dell’immagine, sia della facoltà del linguaggio.
Qui vorrei, per un verso, mostrare quale aspetto abbiano assunto nell’ultimo libro certi problemi già impostati in Ricognizione della semiotica – creando così un asse verticale, o di profondità temporale, all’interno della ricerca stessa di Garroni; per altro verso, però, vorrei tentare qualche rapido confronto tra alcuni temi fondamentali affrontati in Immagine Linguaggio Figura e la filosofia contemporanea, soprattutto di area analitica, con qualche riferimento anche all’ambito della psicologia cognitiva e discipline affini. Con il corrodersi della “filosofia linguistica”, infatti, – o, se si vuole, con l’apertura della linguistic turn al non linguistico – quest’area di ricerca emersa negli ultimi 40-50 anni ha permesso di riscoprire il problema della percezione e dell’immaginazione, creando ambiti disciplinari anche molto specialistici su questioni strettamente interconnesse: dal problema della natura della mental imagery a quello dei cosiddetti “contenuti non concettuali” della percezione (in cui un ruolo di rilievo assume anche la percezione e la cognizione degli animali non umani, da sempre tenuta presente da Garroni); da quello della natura delle rappresentazioni mentali a quello delle numerose prestazioni assegnate oggi in ambito analitico e cognitivistico all’immaginazione. A lungo considerata in area analitica come una “facoltà” nebulosa, indeterminata e quindi sospetta, da qualche anno a questa parte l’immaginazione è al centro di molte aree di ricerca: se ne parla in relazione ai “giochi di far finta” (games of make believe) – sia nel campo delle arti che in quello più generale dell’esperienza comune -, alle ricerche sull’autismo (considerato da alcuni come una “patologia dell’immaginazione”), a quelle sull’empatia e sulla simulazione, ai cosiddetti “paradossi della ‘finzione”, della “suspense” o della “resistenza immaginativa”, e ai tentativi, o alle rinunce, di fornire una nozione unitaria di immaginazione che ne comprenda le varie declinazioni: un’immaginazione proposizionale e non proposizionale, una “ricostruttiva” e una “creativa”, e così via.”