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Misinformation. Guida alla società dell’informazione e della credulità
di Gianmarco Pondrano Altavilla >>
W. Quattrociocchi, A. Vicini, Misinformation – Guida alla società dell’informazione e della credulità, Franco Angeli, Milano 2016.
In tempi di «disinformazione», «fake news», manipolazione dei dati, farsi trovare impreparati proprio sui meccanismi che regolano e fanno da retrobottega a questo genere di fenomeni, è un rischio non da poco. Fortunatamente a colmare l’eventuale lacuna, soccorre questo agile volumetto, frutto di una brillante ricerca dedicata al tema, che da qualche mese sta rivoluzionando il modo globale di affrontare il problema «misinformation» ed i suoi effetti. Una ricerca condotta dal laboratorio di Computational Social Science dell’IMT di Lucca, guidato da Walter Quattrociocchi, con l’apporto di studiosi di diversa estrazione scientifica, che ci offre risultanze empiriche preziose, dalle quali d’ora in poi sarà impossibile prescindere.
Riassumendo all’osso, sono quattro i punti che emergono all’attenzione del lettore. In primo luogo il formarsi delle cosiddette echo chambers. Lo studio dimostra che «grazie ad Internet, ai cookie, agli algoritmi che favoriscono ricerche personalizzate su Google; ai news feed su Facebook, ai suggerimenti di amicizia, all’adesione a gruppi o a pagine da seguire – sulla base dei nostri interessi e di quello che più frequentemente cerchiamo – e, ancora, grazie alle liste su Twitter, ognuno di noi può scegliere di vivere in un mondo virtuale tagliato su misura per sè […] Un clan, una tribù, una comunità in cui prende vita il fantasma di Narciso; dove ognuno è Narciso di sè stesso. Queste stanze degli specchi si chiamano echo chamber e sono delle vere e proprie camere di risonanza in cui troviamo ciò che più ci piace, incontrando quelli che hanno i nostri stessi interessi e condividono le nostre stesse narrative. Sui social network tale meccanismo è praticamente automatico. Ed è questo stesso meccanismo che consente il rinforzo e la diffusione in rete di informazioni anche non corrette». Detta in maniera più brutale: se un tempo portavamo in un luogo pubblico (mettiamo ad esempio, un bar) una nostra opinione, c’era la possibilità di incontrare qualcuno che differisse in tutto o in parte le nostre idee. Ora, con le potenzialità dei social network, non solo siamo in grado di selezionare accuratamente i nostri interlocutori in base ad una sempre più stretta affinità, ma soprattutto abbiamo l’opportunità di «reclutarne» centinaia se non migliaia che plaudiranno ad ogni nostro post. Con la conseguenza di rafforzarci in maniera granitica sulle nostre posizioni.
Accanto a quella delle echo chambers, l’altra scoperta rilevante dello studio, è quella della dinamica di rinforzo che provoca il confronto online. Il team di Quattrociocchi ha provato a «penetrare» le echo chambers, inviando – a mezzo post e commento – informazioni «razionali» ad abituali fruitori di fake news. L’obiettivo era quello di misurarne la reazione in termini di continuo utilizzo o meno delle stesse fake news. Risultato: di fronte ad argomenti stringenti, che smontavano i loro castelli complottistici, questi utenti iniziavano ad interagire ancora di più con contenuti «fake», dimostrando in buona sostanza che ogni tentativo di dialettica, in sede internet, otteneva solo un radicamento delle posizioni di partenza.
Conclusioni preoccupanti perchè mettono in discussione la possibilità stessa d’intervenire in funzione di debuking (vale a dire di disarticolazione delle narrazioni complottistiche) dall’interno della rete.
Se possibile, però, sono gli ultimi due punti della ricerca a turbare maggiormente.
Da un lato, studiando i flussi in entrata ed in uscita dalle camere d’eco si è constatato che se esiste un flusso in entrata nel gruppo di fruitori di fake news, non ne esiste uno in uscita. In altri termini la comunità di coloro che hanno un visione critica della realtà, tenede a perdere pezzi e a non recuperarli.
E sempre in tema di capacità critica, il team dell’IMT ha provato a valutare quella degli utenti «complottisti»…. con esito sconfortante. Si è provato a sottoporre due diverse notizie, di contenuto esattamente opposto (le sirene esistono/le sirene non esistono) al medesimo utente, presentandole entrambe con i crismi «estetici» (titoli altisonanti, insinuazioni di complotti etc.) delle fake news. Quello stesso utente che aveva in prima battuta condiviso e sostenuto la notizia «A», condivideva e sosteneva con la medesima convinzione la notizia opposta «B». Con ciò dimostrando la totale assenza di strumenti di lettura e di valutazione del contenuto e la negazione di ogni analisi razionale.
Nel complesso, insomma, un quadro assai fosco, che sembrerebbe prefigurare un destino ineluttabile di disinformazione. In realtà, a non volersi abbandonare a pur giustificati pessimismi, proprio l’aver individuato empiricamente le regole che reggono questo fenomeno, consente di indirizzare la ricerca verso possibili, efficaci, soluzioni.
Offre, ad esempio, lo spunto per un rinnovato interesse verso il sistema delle relazioni personali e per quei luoghi pubblici dove fisicamente queste relazioni si svolgono (scuola in primis). E’ forse possibile immaginare un’opera di debuking – sicuramente più complessa – che faccia affidamento sul confronto de visu e sulla componente di empatia che esso comporta?
Inutile dire che non si possono dare risposte a priori. Ma proprio questo volume ci indica la via per un impegno di analisi che sondi queste ipotesi. Nel frattempo i risultati del team di Quattrociocchi non vanno abbandonati a se stessi, ma devono essere l’inizio di un progetto globale di approfondimento delle linee generali che loro hanno tracciato. Con questo in mente sarà opportuno seguire con attenzione il progetto di un Centro di analisi internazionale della diffusione delle fake news che proprio Quattrociocchi e compagni stanno mettendo su a Ginevra e che potrebbe rappresentare una delle istituzioni scientifiche chiave dei prossimi anni.
Gianmarco Pondrano Altavilla