Piero Martinetti Spinoza: modi primitivi e derivati, infiniti e finiti

Tratto dal libro La religione di Spinoza. Quattro saggi (a cura di A. Vigorelli, ripubblicato da Ghibli, 2002), un importante saggio di Piero Martinetti (1872-1943) dedicato a una delle questioni più complesse, senza dubbio cruciali, dell’intera ontologia spinoziana: il rapporto tra la Sostanza e i modi e le distinzioni tra i modi stessi.«Dalla considerazione degli esseri finiti Spinoza si eleva al concetto della sostanza attraverso i concetti degli attributi. Vi sono categorie irreducibili di esseri, ciascuna delle quali ci rinvia ad un’unità infinita, ma qualitativamente determinata: e queste unità non sono poi alla lor volta che aspetti qualitativi della vera unità, che è la sostanza. Gli attributi sono perciò sotto un certo. 

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La vera differenza fra la sostanza e gli attributi sta in ciò, che la sostanza aduna in sé tutti gli aspetti qualitativi espressi dagli attributi e, come totalità assoluta, implica nel suo concetto l’esistenza. L’intelletto nostro non coglie che qualcuno di questi aspetti qualitativi e perciò esprime per mezzo di essi la natura – in realtà infinita anche qualitativamente – della sostanza. Perciò Spinoza dice che l’attributo è la stessa cosa che la sostanza «nisi quod attributum dicitur respectu intellectus substantiae certam talem naturam tribuentis» (Ep 9, p. 46).

Il paragone, che segue, del piano perfetto, che è detto bianco per rapporto all’occhio dell’uomo, ha fatto pensare che, la determinazione qualitativa fosse una creazione fenomenica dell’intelletto. Ma ciò è inesatto. L’intelletto non deforma le cose: esso coglie quello che può della loro natura, senza nulla mescolarvi di proprio, come uno specchio fedele: «omnia fingit ex analogia universi, non ex analogia suae naturae» (Ep 2, p. 8)