di Roberto Finelli > 1. Semanticità ed asemanticità del…
Giovanni Perazzoli, COMPLOTTISMO…E CULTURA . La narrativa complottista è la sola ricetta di tanta “letteratura critica”. Un saggio (davvero) irriverente
Il rapporto con la realtà empirica è talmente assente da trascurare che il welfare nord-europeo, ben lungi dall’essere stato azzerato, smantellato, annientato, resta ben solido, ed è di gran lunga superiore a quello italiano. Ma probabilmente (anzi, senza probabilmente) molti degli autori che ne scrivono neanche hanno un’idea precisa di che cosa sia il welfare nord-europeo. Nella cultura di massa la realtà empirica non interessa, interessa affermare un’idea salvifica. Una certa letteratura non è affatto “critica”: non è diversa dalla cultura di massa da cui nasce e a cui è rivolta. Derek Fraser mette dalla parte “complottista” anche l’idea del welfare che propone Foucault, per il quale esso non sarebbe che un “dispositivo di controllo”. Ma gli esempi di questo schema narrativo, che si prende a prestito con troppa disinvoltura, sono innumerevoli. Così scrive il brillante filologo e storico Luciano Canfora:
“Lo ‘Stato sociale’ – nelle sue varie forme – fu in Occidente il risultato imprevisto, tra l’altro, della rivoluzione sovietica e dello Stato sociale autoritario da essa creato e durato settant’anni. Oggi la posta in gioco è lo smantellamento dello Stato sociale. Non solo non c’è l’alternativa di sistema, ma il potere di ricatto dei detentori di ricchezza è diventato quasi irresistibile” [8].
Fatti e fonti? Niente. Il nostro Canfora è caduto in un luogo comune registrato dalla storiografia seria sul welfare. Ma perché? Perché non si tratta di verificare un fatto, ma di far parlare un plot, uno schema narrativo. Poiché fonti, che non siano al loro volta fantasie, non se ne trovano, i soggetti nella narrazione vengono sottintesi. Lo smantellamento del welfare sarebbe opera del “potere di ricatto dei detentori di ricchezza” (da identificare con chi? Niente, non hanno nome); e questo potere è diventato “quasi irresistibile” (da quando?). I “detentori di ricchezza”, da parte loro, non hanno di meglio da fare che “smantellare il welfare”. Perché? Per diventare ancora più ricchi, ricchissimi, smodatamente ricchi, secondo la credenza tipicamente populista. Il lettore è portato a credere che agiscano per un odio insanabile e disumano verso i poveri, oppure che siano spinti dalla forza spersonalizzante dell’appartenenza di classe. Lo scopo dei poteri irresistibili è comunque quello di diventare ancora più ricchi, nonostante il fatto che siano già talmente ricchi che il loro potere è, come leggiamo, “quasi” irresistibile. Ma perché, poi, “quasi”? Non si sa. Canfora in tutto questo ha idea che abbiano anche un limite, ma non ci spiega quale sia. Si noti, da ultimo, che i “detentori di ricchezza”, complottano nel corso di decenni contro il welfare. Non solo operano su scala globale: sono un’associazione supernazionale, che agisce oggi secondo un piano uguale e contrario a quello che li ha portati a creare il welfare decenni prima. Ci si stupisce poi della diffusione delle teorie cospirative?
Nello stesso modo, un banale e noioso documento interno della JP Morgan, che di fatto scopiazza quello che è stato detto e ripetuto in centinaia di pagine di giornale a proposito della timidezza della Costituzione italiana “senza scettro”, di cui parlava già Piero Calamandrei e che ogni storico conosce, viene adombrato come la prova di un complotto delle banche per far saltare la Costituzione italiana. A dirlo non sono degli sprovveduti poco scolarizzati, ma personalità della cultura italiana, direttori di università, di riviste…
In conclusione, lo schema narrativo complottista può avere diversi contenuti, anche opposti tra loro. Può accadere che venga utilizzato in un contesto non complottista; ma se si strizza l’occhio a un certo pubblico, si favorisce la demagogia. Il plot complottista è comunque strutturale nei radicalismi e dei populisti di destra e di sinistra. C’è una vasta produzione letteraria e intellettuale di massa che non ha contribuito affatto al “pensiero critico”, e che, anzi, è largamente venata di complottismo. Da questo punto bisogna partire per cambiare registro.
[1] R. Boudon, Perché gli intellettuali non amano il liberalismo, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004.
[2] A. Forrest, La Rivoluzione francese, Il Mulino, Bologna, 1999.
[3] http://www.corriere.it/speciali/pasolini/potere.html.
[4] Convegno del 1975
[5] D. Fraser, The Evolution Of The British Welfare State: A History Of Social Policy Since The Industrial Revolution (1973), Palgrave Macmillan, Basingstoke-New York, 2009, 4.ed. , pp. 7-8.
[6] L. Gallino, Attacco allo stato sociale, Einaudi Torino, 2013.