Un libro importate genera discussioni. È il caso del libro…
Intervista a Gianluca Miligi
di Paolo Calabro >
Come è nata l’idea di un volume su “laicità e filosofia”?
“Dall’incontro del nostro interesse al tema, cui da tempo diamo spazio sul sito www.filosofia.it, con la proposta di Luca Taddio di Mimesis Edizioni di realizzare un volume per nuova la collana “Quaderni Loris Fortuna”, collana che significativamente porta il nome del deputato socialista che fu il principale promotore della legge sul divorzio. Riprendendo il confronto sul tema della laicità tra Claudio Magris e Emanuele Severino sulle pagine del «Corriere della sera», che nel volume figura come Prologo, si è quindi presentata a me e a Giovanni Perazzoli un’ottima occasione per approfondire un questione complessa, il “rapporto” tra laicità e filosofia, davvero cruciale ma purtroppo poco indagata, nonostante il notevole numero di libri che negli ultimi 15 anni sono stati dedicati alla laicità e dintorni. Tanto parlare di laicità e spesso a sproposito, per slogan o pregiudizi, su giornali e in programmi televisivi, senza però che la filosofia si mostrasse come un contributo decisivo per la sua analisi. Possiamo in questo senso dire che la laicità è una “sfida per il pensiero” ma anche che il pensiero è una “sfida per la laicità”, in quanto di quest’ultima ne interroga il senso più radicale.
Ciò non significa che nel libro unanimemente si sostenga la necessità di un concetto filosofico di laicità o della laicità come filosofia: i contributi che lo compongono, infatti, esprimono tesi e orientamenti diversi (organizzati in tre sezioni): abbiamo coinvolto pensatori del calibro di Severino, Sasso, Vattimo, Rovatti, Rusconi e molti altri, proprio per riuscire ad avere un quadro articolato, ma in ogni caso “forte”, che potesse essere da stimolo a ulteriori riflessioni.”
Gianluca Miligi, laico e non credente. Un pleonasmo, o una questione ancora aperta?
“Direi né un pleonasmo né una questione ancora aperta, piuttosto una questione da chiarire nei suoi termini. In primo luogo ci si deve intendere sul significato di “laico”: infatti, se con il termine s’intende (in epoca moderna) colui che sostiene la necessità della laicità delle istituzioni, la separazione dei princìpi del diritto, costituzionale e legislativo, e della politica da quelli della religione – nel nostro caso cattolica – e dalla sua auctoritas, si può ben essere laici e credenti insieme. Se invece con “laico” s’intende chi svolge una critica filosofica decostruttiva della metafisica, metafisica mediante cui si pretende di giustificare il predominio di un Assoluto nel mondo degli uomini, delle opinioni dei “mortali”, che sia etico, politico eccetera, il discorso cambia. Qui il laico è, a nostro giudizio, “laicista” nel senso che si pone sul piano, diverso, di una concezione antimetafisica e antiautoritaria (critica di quella auctoritas che deriverebbe da un principio assoluto, dalla Verità trascendente divina). Il laicista, che è conseguentemente laico nella prima accezione, non può essere, al tempo stesso, portatore di una fede giustificata dalla teologia razionale: proprio perché essendo laico-laicista è anche antiteologico. Ciò può anche non escludere, però, che su un piano diverso egli possa essere in corde suo credente ossia avere una fede come puro sentimento, mistica, di adesione al divino: cosa che a me risulta difficile comprendere, ma di cui non nego la possibilità.”
Ciancio e Vercellone sostengono, nei loro contributi al volume, che fede e laicità siano tutt’altro che incompatibili. Potremmo immaginarlo un cardinale laico? Del resto Lei ha definito Vito Mancuso, intellettuale cattolico, un “teologo laico”.
“Dalla mia prospettiva risultano sostanzialmente incompatibili. Sono quindi distante da Ciancio e Vercellone, ma rimando alla lettura dei loro saggi perché offrono comunque un approccio filosoficamente interessante. Se sia poi possibile immaginare un “cardinale laico”, sul piano dei princìpi (nella storia c’è persino chi indossando la toga cardinalizia dichiarava senza problemi non la sua laicità, bensì il suo ateismo!) bisogna dire che pensando la sua laicità “all’interno della Chiesa” si dà luogo chiaramente a un ossimoro, considerato che la Chiesa è anche uno Stato interamente fondato su una religione, uno Stato confessionale. Se con l’attributo “laico” intendiamo, invece, che accoglie le ragioni della laicità della Repubblica italiana, allora sì, ma non sarebbe nient’altro che un sostenitore, da una posizione particolare, della separazione di cui sopra: un cardinale “illuminato”, potremmo dire.
Sul caso di Vito Mancuso: egli stesso presenta la sua concezione in termini di “teologia laica” e il suo senso è possibile ritrovarlo solo leggendo i suoi libri e conoscendo le sue tesi, non a caso guardate quantomeno con diffidenza, se non con aperta ostilità, dai teologi “ufficiali” della Chiesa cattolica. Mi sembra che intorno al senso forte e attuale del messaggio cristiano, egli sostenga che questo non può darsi, o almeno non del tutto, nei dogmi della Chiesa cattolica: è il mondo invece a essere, come dichiara Mancuso stesso, l’“interlocutore privilegiato”.”