Gennaro Sasso, Le ragioni di un dissenso: la polemica Croce-Gentile




Le ragioni di un dissenso: la polemica Croce-Gentile

Intervista a Gennaro Sasso [1]

 

di Gianluca Miligi

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- Nelle vicende della cultura italiana della prima metà del Novecento assume una particolare rilevanza la polemica tra Benedetto Croce e Giovanni Gentile. Tra i due grandi filosofi e intellettuali, i quali avevano collaborato assiduamente nella rivista "La Critica", matura nel 1913 un contrasto teoretico, che si manifesta su “La Voce" diretta da Giuseppe Prezzolini. Più tardi, alla fine del 1924, si assiste invece alla drammatica rottura dal punto di vista politico-ideologico.
Professor Sasso, come si presentavano le figure di Croce e Gentile, e quali erano le loro rispettive posizioni?

Innanzi tutto credo che si debba forse risalire a un periodo precedente. La polemica del 1913 fu provocata da Croce. Croce scrisse una lettera aperta a Gentile e ai suoi allievi palermitani - Gentile era allora professore di Storia della Filosofia dell’università di Palermo -, pubblicata non su “La Critica” ma su “La Voce” di Prezzolini in modo che l’eventuale polemica potesse avere luogo su un territorio neutro. Ricevette poi da Gentile, all’inizio del 1914, la replica, sempre su “La Voce”, ma la polemica fra loro era già sostanzialmente in atto da tempo, una polemica, in questo periodo, sempre amichevole. Direi comunque che fin dall’inizio, fin da quando Gentile intorno al 1897 entrò in contatto con Croce (Gentile era ancora studente all’università, alla Scuola Normale di Pisa), fra i due si verificò un contrasto di opinioni o perlomeno emerse una differenza che di volta in volta fu superata, integrata, risolta ma che era destinata a risorgere per una ragione che occorrerà definire in termini generali una volta per tutte.
Gentile era un discepolo diretto della scuola di Bertrando Spaventa; naturalmente non aveva potuto conoscere quest’ultimo, che era morto quando Gentile cominciò gli studi filosofici, ma era stato allievo di un allievo di Bertrando Spaventa, Donato Jaja, professore di Filosofia teoretica all’università di Pisa. Quindi aveva in un certo senso assorbito fin dall’inizio quel particolare modo di intendere la filosofia moderna che trovava nei filosofi dell’idealismo tedesco il suo punto di riferimento principale, e poi di riflesso altro punto di riferimento nella filosofia di Rosmini e Gioberti, due importanti pensatori dell’Ottocento italiano che, secondo lo schema spaventiano della “circolazione della filosofia europea”, ripetevano nelle forme culturali in cui essi si erano definiti, l’uno, Rosmini, il pensiero di Kant e, l’altro, Gioberti, il pensiero di Hegel.
La formazione di Gentile è perciò una formazione filosofica in senso stretto, spaventiana in senso filosofico e storico. E da questo punto di vista quando Gentile si presenta a Croce, gli appare con un volto molto ben definito, laddove il volto di Croce era, allora, quello di uno studioso giovane anche lui, sebbene di otto, nove anni più vecchio di Gentile, dagli interessi molteplici non ancora perfettamente chiusi in un sistema o anche in una circolazione coerente di idee: da una parte, infatti, c’era l’erudito, lo storico, e dall’altra, ancora, il critico del marxismo. Gentile colse nella figura di Croce non soltanto, come è ovvio, la grande intelligenza, la libertà di opinioni, la spregiudicatezza critica, ma, in particolare, il modo in cui Croce, attraverso la critica che rivolgeva al marxismo, veniva elaborando – sul campo si direbbe oggi, e non più in laboratorio – una serie di criteri filosofici particolarmente interessanti anche se discutibili dal punto di vista di Gentile: essi stimolavano fortemente questo giovane studioso all’elaborazione del suo stesso pensiero.


Quali sono gli esordi della polemica tra Croce e Gentile e su cosa verteva precisamente?

La prima polemica riguardo al marxismo fu una polemica non indifferente perché riguardò questo punto: se il marxismo fosse, come riteneva Gentile, una filosofia della storia e quindi da interpretarsi filosoficamente, anche se in modo critico, oppure se fosse, come pensava Croce, non una filosofia della storia – sotto quel punto di vista lì non aveva molto rilievo e molta importanza – ma piuttosto un canone empirico per la comprensione della società del capitalismo moderno, quindi uno strumento di lavoro particolarmente utile da usarsi secondo lo spirito realistico che a suo giudizio era effettivamente l’anima del marxismo. Su questo punto avvenne la prima polemica, la quale sostanzialmente non si chiuse né a favore dell’uno né a favore dell’altro, perché entrambi rimasero con la loro idea. Con questa differenza: la presenza di Marx fu molto profonda in Croce fino a un certo periodo e forse sempre, sotto alcuni aspetti; in Gentile molto meno, tanto che Marx ritornò a un certo punto, come all’improvviso, nel suo pensiero: nel 1937, quando Gentile rimise insieme i suoi vecchi studi sul materialismo storico e li unì ad altri che intanto aveva composto sulla dottrina dello Stato etico, e poi a quell’altra sua piccola opera che si chiama I fondamenti della filosofia del diritto.
La seconda polemica si svolse sempre nel chiuso della loro corrispondenza privata quindi senza che il pubblico ne sapesse niente e senza che “La Critica”, che, dal 1903 fondata da Croce, aveva in Gentile il principale collaboratore, registrasse questa polemica. Questa seconda polemica si svolse sul tema della storia della filosofia, cioè se ci fosse un nesso, un circolo, come Gentile riteneva, tra la filosofia e la storia della filosofia oppure se questo circolo, come riteneva invece Croce, non si desse. Anche quella fu una polemica piuttosto rilevante che toccò punti profondi e che mise in luce il diverso temperamento intellettuale dei due studiosi: quello più sistematicamente filosofico di Gentile, più legato anche ai modi dell’hegelismo napoletano – che a lui erano mediati da Bertrando Spaventa come ispiratore, ma da Donato Jaja e da Sebastiano Maturi, il suo grande amico professore di un liceo di Napoli, come elementi “minori” di questa costellazione – e quello di Croce, che si muoveva in modo molto più libero nel riferimento alle fonti e traeva la sua ispirazione più che da Spaventa, che, tra l’altro, era suo zio, da Francesco De Sanctis, il filosofo o il critico letterario al quale egli di preferenza si rivolgeva.


Professor Sasso, vediamo più in dettaglio la cruciale polemica del 1913.

La polemica del 1913 è una polemica che nasce proprio nel momento in cui la filosofia dello spirito di Croce era giunta alla sua compiutezza, nel senso che Croce aveva scritto anche il quarto volume inizialmente non previsto della “Filosofia dello spirito” ossia la Teoria e storia della storiografia, pubblicata prima in Germania e poi in Italia nel 1915. Quindi il sistema crociano era assolutamente definito quando egli aprì la polemica con Gentile. Che cosa era accaduto? Era accaduto che Gentile aveva pubblicato nell’“Annuario della Biblioteca Filosofica” di Palermo una serie di scritti, in modo particolare il famoso L’atto del pensare come atto puro che è del 1911, e poi gli altri, Il metodo dell’immanenza e La riforma della dialettica hegeliana che si legavano al primo volume del Sommario di pedagogia: anche lui, quindi, mentre Croce concludeva il sistema della filosofia dello spirito, aveva prodotto una serie di scritti che davano fondamenti molto forti al sistema che inevitabilmente di lì in poi sarebbe stato scritto.
Croce si accorse sùbito che il vecchio conflitto che lo divideva da Gentile ormai aveva preso delle forme assai più nette, si era come solidificato in articoli, scritti o volumi eccetera. Pensò quindi che fosse giunto il momento di prendere le distanze dal suo principale collaboratore, non perché volesse arrivare a una rottura ma perché era necessario chiarire che tra la sua filosofia, che era fondamentalmente una filosofia della distinzione-unità, e la filosofia di Gentile, che a parere suo era una filosofia dell’unità senza distinzione, non c’era possibilità di accordo sul quel punto specifico. Questo anche perché le conseguenze che derivavano dai due modi di intendere la realtà erano profondamente diverse, quella di Croce essendo una concezione della realtà articolata e storicamente determinata dalle forme che la costituiscono, quella di Gentile essendo una concezione della realtà interamente culminante nell’atto del pensiero senza possibilità di distinzione e quindi senza possibilità di riconoscere ‘autonomia’ alle forme dello spirito, autonomia alla quale Croce, invece, attribuiva grande importanza. Quindi la polemica ha questo fondamento; lo ha anche nella dichiarazione esplicita di Croce che per questa ragione disse di “essere sceso in campo”.
La polemica fu comunque dirompente nella esperienza dei due, soprattutto in quella di Gentile che accolse malissimo il fatto che Croce avesse messo in pubblico il loro dissenso. La rottura rischiò di avvenire non per quello che nell’articolo di Croce si diceva, ma perché l’articolo era stato reso noto anche a lettori diversi da lui, Gentile: qui interveniva anche quella sua natura siciliana un po’ sospettosa, un po’ gelosa della privatezza. Ma in ogni caso la polemica fu dirompente perché i due personaggi, che ai più erano sembrati sostanzialmente “una sola persona”– all’interno di “La Critica” avevano lavorato insieme, si erano divisi il campo, gli oggetti polemici erano gli stessi, la tonalità fondamentale della polemica era la medesima –, improvvisamente invece si presentavano come due persone diverse, in un certo senso l’una armata contro l’altra, cosicché il “fronte unico dell’idealismo”, come allora si diceva, parve di colpo spezzato.


Professor Sasso, cosa si deve dire in generale riguardo alla “sostanza” strettamente filosofica della polemica tra Croce e Gentile?

A tale riguardo ho un’idea che forse non è né ortodossa né in linea con l’autoconsapevolezza che i due autori della polemica ebbero. Croce non aveva il minimo dubbio che quella di Gentile fosse una filosofia dell’unità senza distinzione, Gentile da parte sua non aveva il minimo dubbio che quella di Croce fosse una filosofia della distinzione che non riusciva a conseguire l’unità, e questo era il tema esplicito del loro dissenso. Croce controbatteva che non era per niente vero che la sua filosofia fosse una filosofia della distinzione senza unità; Gentile controbatteva che anche lui aveva un’idea della distinzione, sebbene diversa da quella di Croce: ma sostanzialmente erano d’accordo nel riconoscersi in queste due caratterizzazioni del loro pensiero. Perché dico che sono d’accordo fino a un certo punto con l’uno e con l’altro in quanto si rappresentassero, autorappresentassero così? Perché io non ritengo che la filosofia di Croce – potrà sembrare un paradosso – sia in re, cioè “nella cosa stessa”, non dico nelle intenzioni del suo autore, veramente una filosofia della distinzione, e non credo che quella di Gentile sia soltanto una filosofia dell’identità o dell’unità.
La distinzione si presenta nella filosofia di Croce come una distinzione assoluta. La conseguenza è che non ci può essere differenza o distinzione fra ciò che è stato distinto, perché ciò che è stato distinto è stato identicamente distinto, e l’identità appartenendo a entrambi i distinti, questi non riescono più a esser tali, in quanto sono, in realtà, identici. Ciò lo si vede se si considera che tutti i distinti crociani sono “sintesi a priori”. Ora, come si fa a distinguere una sintesi a priori da una sintesi a priori? La si potrà distinguere in base a elementi empirici, cioè in base ad elementi che rispetto alla sintesi siano stati scissi dalla sintesi stessa e considerati di per sé; ma se gli elementi sono, viceversa, considerati nella fusione sintetica in cui sono effettivamente reali, non c’è nessuna possibilità di distinguere distinto da distinto.
Per quanto riguarda Gentile, la questione si presenta per un aspetto identica per un altro diversa da come si presenta in Croce, soprattutto se la filosofia di Gentile venga considerata non come appariva nel 1913 quando la polemica avvenne, ma come si presenta oggi a noi che possiamo considerarla in tutto l’arco del suo svolgimento, quindi, direi, essenzialmente valutandola nel primo e nel secondo volume del Sistema di logica (1917-1923), e poi anche nella Filosofia dell’arte, pubblicata nel 1931, che in un certo senso conclude il sistema dell’attualismo.
Per un aspetto la filosofia di Gentile, l’atto puro gentiliano, su cui così violentemente i due polemizzarono, se si guarda dentro la sua struttura, lo si trova costruito in modo analogo, ma io mi spingerei fino a dire identico, a come è costruito il distinto crociano: anche l’atto è una sintesi! Di che cosa? Nel linguaggio gentiliano – mediato dalla filosofia di Fichte, probabilmente, e anche dai modi seguiti da Bertrando Spaventa nell’interpretare la filosofia di Hegel – l’atto puro è Io sintetico di Io e di non-Io. Di che cosa è sintesi il distinto crociano? È sintesi, per esempio, del bello che opponendosi al brutto, viene sintetizzato dal bello. Se noi consideriamo questa struttura, che è triadica, sia nell’ambito del distinto crociano sia nell’ambito dell’atto gentiliano, vediamo che la struttura della filosofia dello spirito di Croce e della filosofia dell’atto di Gentile è la stessa.


Professor Sasso, quanto e come incide nella polemica tra Croce e Gentile il fattore politico-ideologico che subentra in primo piano, in particolare, a partire dal 1924?

Abbiamo visto che la questione del confronto tra Gentile e Croce, tra Croce e Gentile, si presenta molto più complessa di quanto i due pensatori non ritenessero che fosse, o diversa da come essi ritenessero che fosse, nel corso della loro polemica. Ad aggravarla poi – Lei ha ricordato il 1924 – naturalmente era intervenuta la Prima guerra mondiale, era intervenuto il fascismo. La distanza dei due personaggi sia sulla Prima guerra mondiale sia, soprattutto, sul fascismo si fece sempre più netta.
L’iniziativa fu presa da Croce, che il 24 ottobre del 1924 scrisse a Gentile una lettera che non era in realtà di rottura ma di constatazione di un allontanamento definitivo delle loro posizioni sul terreno delle scelte etico-politiche. Gentile rispose con una lettera “accorata” ma di fatto i due non si incontrarono più: erano destinati a non parlarsi più. C’erano poi intorno a loro i gentiliani da una parte, i crociani dall’altra. In particolare gli allievi gentiliani di Gentile ebbero anche, direi, una responsabilità piuttosto pesante nel determinare una serie di equivoci e di ulteriori tensioni tra i due. Il risultato fu che dopo vari tentativi di riconciliazione, operati soprattutto da Adolfo Omodeo, falliti miseramente, nel 1928, in Storia d’Italia dal 1871 al 1915¸ precisamente nel capitolo in cui Croce parlava di “La Critica” e quindi anche dell’opera di Gentile, su quest’ultimo pronunziò una parola durissima, terribile: disse che l’attualismo era un “cattivo consigliere pratico”. E a questo punto, naturalmente, la rottura fu irreparabilmente segnata, sebbene poi negli ultimi anni ogni tanto ci fossero delle aperture, soprattutto da parte di Gentile: che nascessero dalla malinconia dell’amicizia perduta o da altro, è molto difficile determinarlo. Croce in ogni caso respinse sempre, fino all’ultimo momento, ogni possibilità che con Gentile si potesse riavere, non dico un accordo, ma comunque anche semplicemente un contatto.
Non so – è una curiosità che nessuno mi ha saputo togliere – se quando si incontravano in Senato si rivolgessero un cenno di saluto o si evitassero completamente, ma pare che Croce ignorasse sempre Gentile, cioè non gli rivolgesse assolutamente più né lo sguardo né la parola ogni volta che gli capitava di incontrarlo.

[1] L’intervista, riveduta e corretta, è stata realizzata per Rai Educational, “Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche” (2001) e pubblicata sul sito Caffeeuropa (ora in www.reset.it)

 

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