Oltre Itaca. La filosofia come emigrazione. Carteggio (1932-1971)



Leo Strauss - Karl Löwith
Oltre Itaca. La filosofia come emigrazione. Carteggio (1932-1971)

Introduzione di Carlo Altini. A cura di Manuel Rossini - Carocci, Roma 2012

 

Tre lettere dal carteggio




" Nuovo indirizzo: 7 Square Grangé, 22 rue de la Glacière, Parigi (13o) 30 dicembre 1932

Caro signor Löwith!

Soltanto oggi riesco a esprimerle i più sentiti ringraziamenti per l’invio dei suoi due lavori. Nelle scorse settimane sono stato molto impegnato e lo sono tuttora; ho trovato tuttavia almeno il tempo di leggere i suoi saggi e riflettere sul loro contenuto.
Il saggio Nietzsche e Kierkegaard [1] mi interessa più, ovviamente, del saggio dedicato prevalentemente a Jaspers [2]. Posso pertanto limitarmi a quello, in quanto la concezione fondamentale di entrambi i saggi è identica.
A grandi linee, la sua tesi mi era già nota da alcuni colloqui di Marburgo. Anche allora ero stupito dalla radicalità con la quale lei poneva la questione della natura dell’uomo e dell’umano in generale. La domanda, che lei formula fin dall’inizio, “Che cos’è l’uomo, e che cosa ne è divenuto?” lascia supporre che ciò “che è l’uomo” vada inteso come criterio universale ed eterno “per ciò che ne è divenuto”, ovvero per ciò che egli in virtù della sua libertà ha fatto di sé stesso. Tale supposizione viene smentita dai successivi chiarimenti, dove appunto si sostiene la mutevolezza della natura umana. Cosa intende allora con la domanda circa la natura umana? Lei intende la “natura” in opposizione alla non-natura [Unnatur], sarebbe a dire quella del cristianesimo. Anche lei, in pratica, intende questo concetto – non diversamente da Nietzsche – solo «polemicamente e reattivamente» (p. 96/p. 29). Ora, però, lei va oltre Nietzsche, poiché discute anche ciò che si intende per “esistenza” e, quindi, la domanda sulla natura dell’uomo diviene per lei la domanda circa quell’essere umano nel quale sono presenti sia “vita” che “esistenza”. Così lei alimenta certamente la polemica, ma non perviene a una domanda non polemica, “integra”.
Credo che la cosa sia inevitabile finché ci si orienti al xix secolo, anche ai livelli più alti. Lei stesso nota (p. 80/p. 12) che qui si tratta sempre di riabilitazione: si vuole ripetere qualcosa di perduto, riportare alla luce qualcosa di sepolto. Ciò che è perduto, tuttavia, viene cercato e desiderato a partire dalla realtà contemporanea, confermando che è stato negato da Hegel, e in generale dalla filosofia moderna, così come è stato compreso in questa negazione, senza che si raggiunga la dimensione originaria. Se la filosofia del xix secolo è assolutamente polemica e quindi non radicale, allora prendendo come punto di riferimento questa filosofia non si potrà mai arrivare alla domanda radicale.
Per lei ne va della incondizionatezza [Unbefangenheit], della conoscenza incondizionata dell’uomo e dell’ideale dell’uomo incondizionato. Il fatto che per lei ne vada di questa incondizionatezza, dimostra che noi non siamo incondizionati e di conseguenza che non possiamo neanche porre domande senza essere incondizionati. Non potremmo, tuttavia, neanche mettere a tema questa incondizionatezza se “in qualche modo” non sapessimo che cosa essa sia. Che cosa si deve fare? Mi sembra che dobbiamo seguire il pallido bagliore che la parola “incondizionatezza” ci offre, seguirlo senza condizioni; dobbiamo assumere del tutto seriamente il sospetto verso la nostra condizionatezza [Befangenheit]. Noi siamo condizionati dalla tradizione cristiana e dalla polemica contro di essa. Da questo circolo della polemica e della polemica anti-polemica possiamo tuttavia uscire solo tramite una visione positiva e concreta della natura che non venga subito reinterpretata in modo polemico. Questa esigenza, tuttavia, è soddisfatta soltanto dalla filosofia pre-cristiana, quella greca.
La filosofia greca, tuttavia, non può adempiere a questa funzione e non si può arrivare a un autentico umanismo finché lo storicismo obietta che un’altra epoca ha bisogno di un altro ideale e che quindi l’ideale dei Greci non può essere il nostro. Ora, io ritengo che lei, in base alla sua intenzione “naturalistica” rivolta al- l’incondizionatezza, sia giunto ai confini ultimi dello storicismo, senza però oltrepassarli veramente. Lei intende aggirare il dualismo di “essere” e “significato”, lei cerca l’“essere” che non sia tale in virtù di una “interpretazione”.
Se lei, tuttavia, ammette che l’universalmente umano, la natura umana, sia stato legittimamente compreso in modo diverso nelle diverse epoche, che quindi “l’eterno testo fondamentale” venga legittimamente interpretato in modo diverso di volta in volta, allora lei ammette appunto la necessità di una “interpretazione”. Non so se queste osservazioni, fin troppo provvisorie, le siano comprensibili. Perciò vorrei esprimere la mia critica in modo del tutto generale: trovo in lei tutti gli elementi di un umanismo, di una filosofia umana dell’uomo; questi elementi, tuttavia, non si congiungono tra loro perché lei si orienta troppo verso l’eredità della nostra tradizione antiumanista, così da non poterne uscire.
È forse un caso che ogni umanismo si sia compreso come ritorno ai Greci? E perché lei crede di potersi sottrarre a questa necessità?
Devo concludere. Si faccia sentire presto e mi faccia sapere come vanno le cose, in particolare per quanto riguarda la questione Rockefeller.

Un cordiale saluto a sua moglie e a lei."

Suo Leo Strauss

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1 Strauss si riferisce al saggio di K. Löwith, Kierkegaard und Nietzsche, in “Deutsche Vierteljahresschrift für Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte”, 11, 1933, pp. 43-66, ora in ss, vi, pp. 75-100 (trad. it. Kierkegaard e Nietzsche, in “Il cannocchiale. Rivista di studi filosofici”, 1, 2008, pp. 3-33, alla quale si fa ora riferimento). La lettera di Strauss è datata 30 dicembre 1932, mentre il saggio uscì, come ricordato, nel 1933: probabilmente Strauss ricevette da Löwith il dattiloscritto prima della sua pubblicazione definitiva. I numeri di pagina del saggio di Löwith, che Strauss indica nella lettera, vengono riportati tra parentesi secondo la loro successiva collocazione nelle ss di Löwith, seguiti dai numeri di pagina dell’edizione italiana.

2 Strauss intende probabilmente la lunga recensione dello scritto di Jaspers, Die geistige Situation der Zeit, Sammlung Göschen, Bd. 1000, 1931, in “Neue Jahrbücher für Wissenschaft und Jugendbildung”, 9, 1933, pp. 1-10, ora in ss, viii, pp. 19-31, ma potrebbe anche riferirsi al saggio Existenzphilosophie, in “Zeitschrift für Deutsche Bildung”, 9, 1932, pp. 602-13, ora in ss, viii, pp. 1-18.

 

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