La fine del primato

 

 

Paolo Malanima, La fine del primato. Crisi e riconversione nell'Italia del Seicento
Bruno Mondadori, Milano, 1998

di Daniele Santarelli

Il saggio ripercorre le vicende dell'economia italiana del '600, epoca di ristrutturazione e riconversione del sistema economico della penisola, la cui importanza è data dal suo collocarsi come spartiacque tra due lunghe fasi di espansione dell'economia italiana, la prima iniziata nel tardo Medioevo, la seconda alla fine dell'800. E' da notare come il saggio di Malanima, insieme con gli studi di Domenico Sella (in particolare L'Italia del Seicento, pubblicato in inglese nel 1997 e quindi tradotto in italiano presso Laterza nel 2000), proponga un nuovo modello interpretativo del Seicento italiano, non più visto come secolo di decadenza, ma come epoca di ristrutturazione e conversione del sistema economico della penisola, che, dopo aver affrontato un periodo di difficoltà nella prima metà del secolo, continuò nel complesso ad espandersi (almeno per quanto riguarda l'area centro-settentrionale), a partire dal 1650, ma non allo stesso ritmo delle altre principali economie europee.
I. Si parte da una situazione di maturità del sistema nel '500: in quest'epoca l'Italia centro-settentrionale è economia-guida a livello mondiale (non a caso la popolazione urbana italiana era il 40% di quella europea), la cui base produttiva era costituita da tre pilastri fondamentali: l'industria laniera, quella serica e le attività legate al commercio; i prezzi e i salari erano elevati, le due industrie principali davano lavoro a 400-500 mila persone e nel settore commerciale l'Italia godeva di una rendita di posizione, data la sua posizione geografica al centro del Mediterraneo, crocevia degli scambi commerciali tra Oriente e Occidente. Anche i settori non di base godevano di una notevole prosperità, il reddito pro-capite era il più alto d'Europa e la produttività agricola si manteneva su buoni livelli; il Nord e il Sud erano legati da un rapporto di interdipendenza, in quanto il Sud esportava al Nord beni alimentari e materia grezza, mentre il Nord contraccambiava con prodotti finiti e denaro.
Nella situazione di maturità del sistema vi erano, tuttavia, le premesse per una crisi: si era giunti, infatti, ad una situazione di saturazione nel rapporto popolazione-risorse e, in assenza di innovazioni e nuove fonti di energia, non si poteva andare molto oltre nello sviluppo; inoltre la concorrenza delle economie-rivali (Inghilterra ed Olanda in particolare) all'economia-guida (Italia centro-settentrionale) si faceva sempre più incalzante e la continua espansione del sistema economico della penisola aveva come conseguenza la produzione di rifiuti, difficili da smaltire: i problemi igienici che derivavano da ciò potevano favorire la diffusione delle epidemie.
II. La crisi si verificò nella prima metà del '600 e investì, in primo luogo, le campagne manifestandosi con una crescita dei prezzi del grano, con una diminuzione delle rese agricole poiché si misero a coltura anche terre meno produttive per far fronte alla domanda sempre più crescente dovuta alla crescita demografica ed inoltre a causa dell'impoverimento di azoto dei suoli provocato dal loro sovrasfruttamento.
In questo contesto il Sud cessò le sue esportazioni di prodotti alimentari rifugiandosi nell'autoconsumo ed il Nord dovette ricorrere alle importazioni dall'Oriente. A peggiorare le cose ci si mise la piccola glaciazione seicentesca che ridusse il flusso d'energia solare e accrebbe eccessivamente la piovosità.
Per quanto riguarda l'economia urbana, si ebbe un notevole crollo dell'industria laniera, la cui causa principale fu la concorrenza della "new drapery" inglese; anche l'industria serica declinò, anche se leggermente e non ovunque.
Le cause del declino commerciale furono, invece, il venir meno di quella rendita di posizione dell'Italia cui si è accennato sopra a causa delle nuove rotte atlantiche e del Capo e l'intensificazione della concorrenza nel bacino stesso del Mediterraneo da parte delle flotte inglesi e olandesi: non a caso, l'unico porto che crebbe notevolmente in quest'epoca fu Livorno, scalo preferito dai mercanti stranieri.
La caduta dei redditi urbani fece sì che i cittadini più facoltosi investissero nella terra, dando così inizio ad un processo di ruralizzazione dei capitali.
Ma il riflesso più significativo della crisi fu il crollo demografico: l'alimentazione più precaria causata dall'innalzamento dei prezzi alimentari provocò una maggiore sterilità della popolazione e una maggiore vulnerabilità ad alcune malattie, in particolare il tifo e l'influenza. Inoltre, la peste flagellò il Centro-Nord nel 1629-30 ed il Sud nel 1656-57. Di fatto, sembra che la popolazione italiana, nel periodo 1600-1660, sia scesa da 13,5 a 10,7 milioni di abitanti
III. Il crollo demografico pose però le basi per un nuovo equilibrio, venendo meno la pressione eccessiva della popolazione sulle risorse; inoltre, nuove fonti di energia avevano ormai fatto la loro comparsa in Europa: il mais, le patate, le leguminose e il carbon fossile; inoltre, dopo il 1657, la peste scomparve. La popolazione italiana, tornando a crescere, raggiunse nel 1700 il livello critico di un secolo prima: tuttavia, con l'introduzione delle nuove fonti energetiche, il quadro era cambiato e non si giunse ad una nuova crisi nelle campagne: la pressione demografica, stavolta, spinse ad una intensificazione nello sfruttamento della terra nel Centro-Nord, di cui fu protagonista la coltura del mais, che aboliva il maggese e le cui foglie potevano essere riutilizzate come mangime per il bestiame, mentre nel Sud, essendo il fattore terra ancora abbondante, si verificò soltanto una crescita estensiva. La diversificazione tra le due aree si completò così definitivamente.
Nel settore industriale, di fronte all'ormai definitivo tramonto dell'industria laniera, l'industria della seta svolse un fondamentale ruolo di compensazione: nella seconda metà del '600 il primato italiano in questo settore si rafforzò, grazie anche all'impiego di manodopera rurale. Il cambiamento avveratosi era profondo: il 50-60 % della seta era prodotto fuori dalle città grazie all'impiego produttivo dei tempi non occupati in attività agricole da parte delle famiglie contadine, per le quali la bachicoltura costituì una forma di reddito additivo.
IV. A questo punto si può finalmente parlare di cambiamento strutturale; secondo Malanima l'Italia, economia-guida giunta al massimo delle sue possibilità, conservò il suo livello di prodotto lordo e di urbanizzazione, ma il suo peso all'interno dell'economia mondiale mutò a causa del sorpasso delle ex/economie-rivali, in particolare Olanda e Inghilterra, che imboccarono la strada di una crescita intensiva.

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