Populismo e democrazia

 

 

Yves Mény - Yves Surel, Populismo e democrazia
Il Mulino, Bologna 2001

di Carlo Scognamiglio

Questo libro è un esplorazione dell'attuale panorama politico, prevalentemente europeo, alla ricerca di un'identificazione chiara e distinta di una delle categorie politologiche più usate e abusate dell'ultimo secolo, la nozione di "populismo" . Al tempo stesso, il tentativo di cogliere quanto il populismo diventi identità di alcune formazioni politiche emerse negli anni Novanta è accompagnata ad una seria riflessione sulla difficoltà teorica che si incontra nel definire una categoria così scivolosa, che si usa, ma che quasi mai si padroneggia. Lo stimolo alla stesura di questo libro è venuto ai due autori da una potente inquietudine che ha scosso il sistema politico di alcune nazioni europee negli ultimi anni, dovuto all'insistente spettacolo della condanna mediatica dei corrotti, ed alla sostituzione del conflitto di classe con quello tra il "noi" (il popolo) e il "loro" (i dirigenti). Tuttavia, la terminologia delle scienze politiche non ha gioco facile nell'individuare il vero peso di una nozione che anche nella storia si è prestata alle più diverse utilizzazioni; il populismo non è un'ideologia, in quanto non fornisce come sfondo né una chiave di lettura che consenta di accedere ad un'interpretazione del mondo, né si può facilmente tradurre in programmi, norme o istituzioni. Tra l'altro, chi di solito viene etichettato come "populista" non rivendica mai quest'appartenenza, diversamente da quanto accade in qualunque altra ideologia. Insomma, come sostiene Kraushaar, il populismo è una specie di "frittella concettuale", schiacciata, larga e dai contorni poco identificabili, "facile da gettare in faccia all'avversario. Non ferisce, ma fa cadere l'aggredito nel ridicolo". Ma ad alcune definizioni del populismo occorre far riferimento, quanto meno per poter avviare la ricerca; e così i due autori rievocano l'interessante proposta di Georg Betz, secondo il quale il populismo è "un richiamo all'uomo normale e al suo buon senso ritenuto superiore". Molto diffusa è anche l'idea di Piérre-André Taguieff, per il quale il populismo si deve intendere come una corruzione ideologica della democrazia, tesi che i due autori prenderanno più volte in considerazione, ma la più efficace (e scientifica) pare essere invece quella fornita da Lenin: "Fu Lenin che diede [al populismo] una connotazione storica e sociologica più concreta, insistendo sul fatto che il populismo era una protesta contro il capitalismo da parte di piccoli produttori che, rovinati dallo sviluppo dell'economia capitalistica, vedevano in essa una regressione, e chiedevano contemporaneamente l'abolizione delle vecchie forme di sfruttamento feudale". (p.37, citando A.Walicki, Russia).
Uno dei capitoli più interessanti di questo lavoro è certamente il secondo, intitolato "Le dinamiche populiste della democrazia contemporanea", nel quale Mény e Surel individuano i tre fattori determinanti delle crescenti tendenze populistiche dei nostri tempi nella crisi dei sistemi e delle strutture di mediazione politica (partiti in primo luogo, ma anche sindacati, chiese e quant'altro), nella personalizzazione del potere (leaderismo e culto della personalità) e nella mediatizzazione della vita politica. Alla luce della comparsa di questi tre elementi determinanti possiamo appunto comprendere il sorgere negli ultimi vent'anni di nuove mobilitazioni e nuove strutture di aggregazione, che da destra a sinistra sono attraversate da una comune critica nei confronti dell' "oligopolio" che detiene il potere: "prendono a prestito dalle forme populiste dell'azione politica aspetti strutturali, modi di fare e discorsi. Tutti denunciano le barriere create dagli uomini e dalle formazioni al potere: modi di scrutinio, divisioni elettorali, clausole di esclusione, accesso ai media, protezione e clientelismo, chiusura del dibattito politico, consociativismo delle élite e così via" (p.91). Così le nuove formazioni politiche, sorte per lo più su cause specifice (ecologisti, caccia e pesca, pensionati, rivendicazioni fiscali) rifiutano di definirsi partiti, preferendo di gran lunga l'uso di termini come "lega", "movimento" e così via; d'altra parte non sono dei partiti veri e propri, sia in termini organizzativi che ideologici (ricordiamo la fatica di Bossi nel costruire una mitologia della Padania, partendo da una semplice rivendicazione fiscale).
Ad ogni modo, il libro è tutto da leggere, anche in virtù dei numerosi dati che fornisce, tutti di grande interesse (in particolare quelli sulla fiducia dei cittadini europei nei vari livelli delle istituzioni), nonché per comprendere meglio l'insorgere di un fenomeno politico che cammina a braccetto con la globalizzazione capitalistica.

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