Il debito impensato. Heidegger e l'eredità ebraica

Marlène Zarader, Il debito impensato. Heidegger e l'eredità ebraica
Intr. e trad. di Massimo Marassi
Vita e Pensiero, Milano, 1995

di Dario Gentili

Negli ultimi dieci anni, i silenzi di Heidegger hanno dato molto da parlare e scrivere; l'esempio più eclatante riguarda la compromissione del filosofo di Messkirch con il nazismo, portata alla ribalta della discussione filosofica nel 1987 con la pubblicazione dell'astioso Heidegger et le Nazisme di Victor Farias. L'ambiente filosofico francese è stato il primo a reagire all'accusa senza possibilità di appello di un'adesione spirituale al nazismo mai ritrattata in modo convincente, che quel libro muove contro Heidegger non soltanto per il periodo del suo rettorato (1933-1934). Certo, la vaghezza se non proprio l'ostinato silenzio con cui Heidegger ha sempre risposto riguardo il nazismo e la sua adesione a esso non aiutava chi si è arrogato il compito di spiegare, non potendo proprio giustificare, la disponibilità, intrinseca al pensiero heideggeriano, ad accogliere determinati aspetti dell'ideologia nazista. (In questo senso, il lavoro più interessante mi sembra La fiction du politique di Philippe Lacoue-Labarthe).
Marlène Zarader, pur avendo concepito l'idea del suo libro precedentemente all'imporsi della querelle a cui accennavo, ammette nell'Avvertenza che premette al testo che questa non è passata senza lasciare tracce nella sua riflessione. La Zarader scrive che "non ho però cercato di dare alla mia riflessione una piega politica che inizialmente non le apparteneva" [p. 3]. Leggendo Il debito impensato non si può non riscontrare che il suo svolgimento è essenzialmente teoretico, ma, come proverò a evidenziare, tenendo conto che tratta della delicata questione di una eredità ebraica di cui il pensiero heideggeriano si sarebbe fatto espressione, a uno sguardo non ingenuo proprio l'attenzione con cui si vorrebbe evitare all'analisi ogni ripercussione politica lascia qualche perplessità.
Il pregio indiscutibile de Il debito impensato consiste nell'approccio heideggeriano con cui la Zarader affronta il pensiero di Heidegger; già Francesco Saverio Trincia, nella sua recensione all'edizione francese del libro, evidenzia questa peculiarità: "il rapporto del pensiero di Heidegger con l'ebraismo viene collocato nel punto più interno di quel pensiero, che appare all'autrice al tempo stesso come il punto in cui l'eredità ebraica rimane nascosta allo stesso Heidegger" [La Cultura 1993/3]. Pertanto, la questione del linguaggio, del pensiero e dell'interpretazione è condotta in modo che l'originalità di Heidegger non possa esser macchiata da alcuna sorta di debito esplicito; tuttavia, lo stesso rigore ermeneutico non è riscontrabile nella deduzione delle corrispettive questioni nell'ambito della tradizione ebraica che, quanto a stratificazioni e controversie, non ha nulla da invidiare all'esegesi heideggeriana. Come sfondo teoretico essenziale alla sua argomentazione, pur ammettendo una criticabile violenza interpretativa, la Zarader individua due "configurazioni" decisive all'interno del pensiero heideggeriano, che procedono secondo un progressivo allargamento dell'orizzonte dell'indagine filosofica e ruotano intorno a una differente Erörterung dell'"origine essenziale": il primo allargamento "semantico", che riguarda il periodo compreso tra Sein und Zeit e il Nietzsche, sposta l'ambito peculiare della questione dell'essere dall'ontologia all'intera storia della metafisica e indica nel "mattino greco" dei presocratici il luogo dove recuperare l'origine essenziale non-ancora metafisica; il secondo allargamento "storico" consiste nel riportare anche i presocratici all'interno della storia che, d'ora in poi, sarà "storia dell'Occidente" intero e pensare l'origine essenziale al di fuori di questa storia, citando Heidegger stesso, "al di là della stessa esperienza greca" [p. 32]. Nel pensiero di un "nuovo inizio", assolutamente altro rispetto all'intera storia della filosofia occidentale pensata e nominata esclusivamente in greco, la Zarader individua il debito impensato che Heidegger contrae con il pensiero ebraico: il linguaggio come appello, il pensiero come memoria, l'interpretazione come infinita non sono certamente aspetti decisivi della filosofia greca, ma sono tali per la millenaria tradizione ebraica. La Zarader si sofferma a lungo sulla quasi totale ignoranza di Heidegger del Vecchio Testamento, nonostante l'importanza fondamentale che ebbe lo studio del Nuovo Testamento per la sua formazione filosofica. La filosofa francese giustifica questo debito non riconosciuto nei confronti del Vecchio Testamento, sarà questo un leit motiv di tutto il libro, con il fatto che Heidegger ha soltanto "perpetuato" l'oblio del pensiero ebraico nella tradizione occidentale, in quanto già i testi sui quali si stava formando come teologo cattolico soffrivano di questa colpevole dimenticanza.
Naturalmente la Zarader deve evidenziare, dopo aver enunciato le "sorprendenti" affinità tra il pensiero heideggeriano e quello ebraico, anche le indiscutibili differenze; anche quest'ultima parte del libro sembra convincente. Se per la "struttura" di pensiero e per la sua "forma" la filosofia heideggeriana richiama tacitamente analoghe concezioni ebraiche, per quanto concerne i contenuti la differenza resta abissale. La Zarader, a questo punto, dedica un paragrafo a Emmanuel Lévinas, che, pur essendo a sua volta in debito con il pensiero heideggeriano, queste differenze ha chiaramente tematizzato. Due fondamentalmente: della struttura ebraica Heidegger non ha ereditato affatto il contenuto etico; lo Iahvè della religione ebraica non può avere nulla in comune con la "neutralità" dell'essere heideggeriano, né con l'ultimo Dio dei Beiträge.
Veniamo ora a chiarire la questione del debito e il suo carattere d'impensato: secondo la Zarader, il merito di Heidegger consiste nell'avere, con il suo pensiero, reintrodotto nella filosofia occidentale una struttura di pensiero relegata ai margini della tradizione greco-cristiana; tuttavia, Heidegger non ha riconosciuto, nonostante non siano mancate sollecitazioni in questo senso (Paul Ricoeur), a tale pensiero alternativo alla Grecia la sua derivazione ebraica o, quantomeno, la sua affinità con questa tradizione. Il debito resta impensato, nascosto, se non proprio negato; non è in questione l'originalità del pensiero heideggeriano, piuttosto un suo render giustizia a una tradizione relegata ai margini, ma comunque operante all'interno dell'Occidente. Questo è il problema che, più di ogni problematica interpretazione della filosofia heideggeriana, emerge forte da Il debito impensato: è proprio vero che il pensiero heideggeriano "ha restituito al pensiero occidentale determinazioni dell'universo ebraico fondamentali" [p. 215]? Non è forse vero che, più o meno nello stesso periodo in cui Heidegger maturava la sua filosofia, pensatori quali Hermann Cohen, Franz Rosenzweig, Ernst Bloch e altri cercavano di conciliare la filosofia classica e moderna con categorie di pensiero eminentemente ebraiche? E poi, è così vero che la radice ebraica dell'Occidente sia stata sempre costretta al silenzio dal logos greco? Queste perplessità appena sollevate non negano affatto che concezioni fondamentali di Heidegger abbiano molto in comune anche con il pensiero ebraico, anzi. Piuttosto, perché non interrogare, oltre ai testi heideggeriani e alla Torah, anche gli scritti di pensatori ebrei che nella tumultuosa temperie culturale degli anni trenta in Germania hanno ripreso concezioni tradizionali dell'ebraismo innervate dal pensiero della crisi della modernità, del senso della storia se non proprio della sua fine?
Forse la ferma volontà della Zarader di evitare alla sua analisi qualsivoglia ripercussione politica le ha impedito di riconoscere nel pensiero heideggeriano le tracce di una delle più grandiose prove di traduzione filosofica di un'epoca e della sua fine, nazismo, comunismo e capitalismo compresi. Infine, è veramente possibile non leggere anche politicamente il rapporto filosofico che intercorre tra Heidegger e l'ebraismo? Leggete il passo che conclude Il debito impensato e giudicate: "Alla fine di questa correzione, ci ritroviamo con un nuovo Occidente. Un Occidente che certo dispone - e forse bisognerebbe anche dire: che finalmente dispone, per la prima volta - di tutte le dimensioni che, sin dall'origine, lo costituirono, un Occidente restituito alla sua ricca pienezza di contenuto - e pure misteriosamente, fantasmaticamente (imperdonabilmente?) purificato. Purificato perché rimandato alla pretesa semplicità della sua origine - un origine senza dualità né alterità, dunque senza macchia" [p. 233].

SocialTwist Tell-a-Friend
Feed Filosofia.it

Cerca tra le risorse

AUDIO



Focus

  • Laicità e filosofia Laicità e filosofia
    Che cosa significa essere laici nel nostro Paese, dove forte è l'influenza politica della Chiesa? Grandi personalità del pensiero e della cultura riflettono, per la prima volta insieme, su questa questione...
    vai alla pagina
  • 1
  • 2

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________
www.filosofia.it - reg. ISSN 1722 -9782  Tutti i diritti riservati © 2016