Corpus

Jean-Luc Nancy, Corpus
traduzione italiana e postfazione di Antonella Moscati
Edizioni Cronopio, Napoli, 2001

di Nicola Comerci

La seconda edizione della traduzione di Corpus testimonia l'interesse crescente in Italia per il pensiero di Jean-Luc Nancy, il filosofo francese che si avvia a diventare uno dei pensatori più interessanti del nostro secolo. E le ragioni di questo interesse sono molteplici e tutte incentrate sullo sforzo di Nancy di ri-cognizione della filosofia, a cominciare dalla sua forma strutturale eargomentativa. Corpus non è infatti un saggio filosofico tradizionale, ma un tentativo di e-scrivere il corpo, nel senso in cui il filosofo concepisce la scrittura: "toccare l'estremità", cioè forzare il linguaggio fino a costringerlo a "incidere" il suo oggetto. In questo senso Corpus è la e-scrizione (e non descrizione) dei modi, dei casi in cui i corpi si danno come occorrenze, o meglio, venute in presenza.
L'obiettivo polemico di Corpus è costituito, per un verso, dall'idea occidentale del corpo come un questo rappresentativo di un quello, come presentazione di un impresentabile per principio, dell'Assoluto, inaugurata dall'Hoc est enim corpus meum della tradizione cristiana e posta come principio di garanzia del reale, secondo il rapporto segnico di rimando tra significante e significato; per un altro verso, dalla distinzione fenomenologica tra Körper e Leib, corpo oggetto e corpo vissuto. Entrambe queste posizioni concepiscono infatti il corpo in termini di attributo o di possesso, mentre invece per Nancy non abbiamo un corpo ma "lo siamo, lo esistiamo": il corpo è il luogo dell'esistenza dove viene in presenza il carattere temporalmente limitato dell'essere. Dire che siamo un corpo sposta l'argomentazione su di un livello ontologico, in quanto se il corpo non è l'attributo di una sostanza (l'anima, la psiche o altro) si ha il superamento della distinzione aristotelica tra sostrato e qualità in quanto la modalità diviene parte integrante dell'essere. Il corpo non è concepibile come oggetto di proprietà e quindi neanche come luogo di una riappropriazione, come, ad esempio, nel caso di Heidegger, in cui il cammino verso l'autenticità attraversa il passaggio obbligato del riconoscimento della ineludibile appartenenza corporea.
L'allontanamento da queste posizioni non implica comunque l'accettazione di "deboli discorsi" su "simulacri (…) privi di carne e di presenza" (p.34). Nancy si muove invece verso una ontologia della singolarità come chiasma tra esistenza ed essenza, in cui però, come spiega Antonella Moscati nella sua puntuale Postfazione al testo, è un "pensiero del molteplice" a definire i termini del discorso. Corpus infatti, coerentemente con l'idea di superamento di ipostatizzazioni semplicistiche, si occupa più di corpi che di corpo, e questo si lega al costante interesse politico di Nancy: esistono molteplici corpi tutti uguali nel non essere nessuno più-corpo degli altri, cioè nessuno più confacente degli altri a caratteristiche proprie di ipotetici schemi di perfezione. La presa di posizione contro il razzismo è evidente.
Lo sfondo politico di Corpus si manifesta ancora di più nella centralità del corpo nell'era contemporanea dominata dalla tecnica, in cui l'uomo è sottomesso ad un regime di ingiustizia e sfruttamento globale, corpo-e-anima indivisi in quanto non-divisibili perché non-separati. Non si ha più infatti la scissione sociologica tra un corpo prigioniero del lavoro e un'anima svincolata da condizionamenti: l'anima è estesa (ausgedehnt) nel corpo e la tecnica sottomette il corpo e quindi l'uomo nella sua totalità, nel suo essere-corpo in quanto corpo.
Ma Corpus è un libro in cui il tema della speranza si accompagna a quello della libertà: così come in ogni ambito è presente l'ingiustizia, allo stesso modo ovunque viene in presenza la libertà dei corpi, libertà nell'Ab-Grund ma non libertà nullificante in senso sartriano, in quanto per Nancy la libertà, come è ormai chiaro, è libertà del corpo, non dell'io.
Da qui la necessità che, come afferma il filosofo parafrasando Wittgenstein, "Di ciò che non si può più dire, è bene non smettere di parlare" (p.51).

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