Come ci si inventa

Heinz von Foerster Ernst von Glasersfeld, Come ci si inventa. Storie, buone ragioni ed entusiasmi di due responsabili dell’eresia costruttivista
Collana grigia: Ideologia e conoscenza, Odradek edizioni, Roma, 2001
Introduzione di L. Dorelli; Postfazione di F. Accame

di Carla Fabiani

E’ in libreria da poche settimane questa autobiografia di H. von Foerster e di E. von Glasersfeld, edita in Italia da Odradek.

Il contenuto teorico del testo, critico del realismo epistemologico tradizionale e dei suoi dualismi concettuali (ma anche di un certo idealismo che spesso li accompagna), viene esposto dagli A. in corso di dialogo: che cosa sia il costruttivismo radicale, un’eresia filosofica o una critica della scienza, lo si può cogliere solo ‘partecipando’ al dialogo. Il punto di vista di chi legge non rimane estraneo al ‘circolo dialogico’ così virtuosamente creato dai suoi due dichiarati responsabili.

Il testo si presenta nella forma di "colloquio vero e proprio", nel quale i due A. "raccontano di sé con la consapevolezza della loro precarietà e, inavvertitamente, dimostrano la precarietà della storia della scienza del Novecento.

Dei rapporti di causa e di effetto da ‘manuale’, o delle regole della narrativa scientifica, non importa loro un granché: non hanno nessuna intenzione di fornire storie di comodo o di portare acqua al mulino dell’ottimismo deterministico. Leali nei confronti l’uno dell’altro prima che dell’eventuale lettore, ricostruiscono vita e idee nel loro farsi reciproco - e riscoprendole eresie." (p. 185) L’eresia del costruttivismo radicale, appunto.

H. von Foerster nasce a Wien nel 1911, studioso e realizzatore di sistemi cibernetici, direttore del Biological computer lab (Università dell’Illinois), nella sua ricerca ha integrato le più varie discipline dalla biologia, alla teoria dei sistemi, alla neuropsicologia. E. von Glasersfeld, nasce a München nel 1917, epistemologo, ricercatore di psicologia nell’Università della Georgia, si è dedicato soprattutto all’analisi concettuale, partecipando a numerosi progetti sperimentali riguardanti in particolare la traduzione meccanica, la comunicazione uomo-animale e la didattica matematica.

Due eretici della filosofia, due critici della scienza, due scettici o letteralmente due inventori di realtà, con loro ripercorriamo la storia del costruttivismo radicale, dei suoi decisivi, ancorché misconosciuti legami con l’Italia, con Giambattista Vico, con Silvio Ceccato e la Scuola Operativa Italiana.

Dialogando gli A. ricostruiscono le vicende più significative dei rispettivi percorsi, fatti di spostamenti geografici e migrazioni intellettuali, fino a trovare nella critica radicale del realismo filosofico il vero tratto d’unione di una ricerca interdisciplinare molto ricca e complessa.

Citiamo due brani, tratti dall’ottavo capitolo, particolarmente significativi e provocatori per chi vi si accosta con antiche abitudini filosofiche (separo il vero dal falso, la forma dal contenuto, il soggetto dall’oggetto, etc.) o consolidate sicurezze scientifiche (ogni effetto ha la sua causa, etc.).

L’illusione della prospettiva divina

Ernst: E’ quello che Hilary Putnam ha felicemente chiamato God’s Eye View, la prospettiva di Dio.

Heinz: La prospettiva di coloro che si collocano all’esterno. Bene, allora abbiamo due prospettive. Quella umana, di un partecipante, e la prospettiva divina, di un estraneo. […]

In questo caso il linguaggio è un monologo. Parlo semplicemente per me, lancio parole nel mondo […] E finalmente si arriva all’enunciato cartesiano: Cogito, ergo sum - Penso, dunque sono. Non si fa la minima parola di qualcun altro. […] Contro tutto questo, mi sono messo a lavorare nel secondo campo, quello in cui io sono una parte dell’universo. […] Qui il linguaggio diventa un dialogo, e in quanto dialogico è connotativo. Non mi riferisco a oggetti ma alle idee che gli altri hanno degli oggetti. […]

Allora il linguaggio non è descrittivo ma costruttivo. Quando parlo, cerco di invitare l’altro a creare il mondo di cui parlo, di cui vorrei raccontargli. […] L’essenza del linguaggio è semantica, non grammaticale, e Descartes avrebbe dovuto dire: Cogito ergo sumus. […]. (pp.163-164)

Cosa viene prima: linguaggio o coscienza ?

Heinz: linguaggio ! Volevamo parlare di linguaggio, anche in rapporto con la coscienza. […]

Ernst: Cominciamo con il linguaggio o con la coscienza ? Maturana dice che l’osservatore nasce con quello che lui chiama languaging, tramite l’interazione linguistica con altri, dunque: e che anche la coscienza nasce solo con il linguaggio. Gli ho detto varie volte che non capivo. […]

Secondo me, perché ci sia linguaggio ci deve almeno essere una coscienza primitiva: infatti, se non sono in grado di differenziare consapevolmente le parole dai loro significati, esse sono, nel migliore dei casi, stimoli psicomotori, cui ho associato una certa maniera di agire - come un cane, che si siede quando gli dici: "Seduto !". Non lo chiamerei linguaggio. Lo chiamo segnale. […] senza nessun pensiero cosciente e nessuna riflessione […]

Heinz: Ma si può parlare di coscienza solo quando si ha un linguaggio.

Ernst: Non voglio contestare questo, ma non mi convince affatto che per essere cosciente abbia bisogno del linguaggio. […]

[…] Continuo a rifarmi a Piaget. Nei primi due anni di sviluppo, quando il bambino in fondo non ha ancora un linguaggio, ha però degli items simbolici, come si chiamano...

Heinz: Unità, astrazioni...

Ernst: Più semplicemente simboli, che usa. Simboli che non appartengono però alla lingua, nel senso di poter essere usati nel dialogo con qualcuno. […]. (pp.149-151)

Ufficialmente, il costruttivismo radicale nasce nel 1974; chi ne volesse però fare la storia, non può non cominciare da questo testo.

In epoca di big science e di primato monopolistico delle scienze dure, poco è emerso di quel fiume carsico, critico, che si alimentava della ricerca interdisciplinare, di frontiera, e che ne rappresentava il sommesso contrappunto, anche all’interno di istituzioni potenti, in cui tuttavia fantasia e creatività erano ancora apprezzate e facevano premio nei confronti della scienza applicativa o di routine.

Ora che l’epistemologia contemporanea è lì a rimirare le macerie, giunge, finalmente distinto e intelligibile, il pacato discorrere di due straordinari e grandi vecchi che ci restituiscono, da protagonisti responsabili, le coordinate spaziali e soprattutto temporali del costruttivismo. Un indirizzo di pensiero, fatto di pratiche quotidiane di ricerca, che è sfuggito a una definizione proprio in virtù della sua natura autenticamente interdisciplinare; giunge quindi opportuna questa sua ‘definizione genetica’, itinerante, biografica addirittura; una mappa che raccoglie e rappresenta luoghi inediti o poco frequentati ma che comunque si rivelano come importanti anelli di una catena lunga e tenace.

Il libro restituisce inoltre - e non di sfuggita ma con dovizia di particolari - un’immagine edificante e progressiva, ancorché inusuale, di legami interculturali e interlinguistici che fanno giustizia di una Mitteleuropa statica, irraggiantesi da un punto del passato e compiaciuta di esso.

C’è però una Mitteleuropa in itinere, ben rappresentata dalla vita di Ludwig Wittgenstein, che si protende e intreccia legami, che non impone lingue ma che è pronta ad apprenderne altre, che non impone culture ma ne crea di nuove.

Wittgenstein che insegna a Cambridge, Ceccato che traduce Hugo Dingler, von Foerster che legge Hume a Dublino, von Glasersfeld che legge Vico a Merano. Un’Europa interculturale, interlinguistica, interdisciplinare in cui l’abito scientifico è difesa dalle tentazioni di sopraffazione; in cui la tolleranza metodologica è sprone a ricominciare, sempre, anche dopo le distruzioni della guerra; e in cui l’umorismo, sì anche l’umorismo, come disposizione metodica (ora si preferisce chiamarla serendipity) è tratto saliente e costitutivo.

Dal capitolo secondo:

Bridgman saltella/Ceccato turba Hugo Dingler

[…]

Ernst: Prima una domanda: negli anni venti a Monaco c’era un fisico, che poi si è anche interessato di filosofia, si chiamava Hugo Dingler.

Hai...

Heinz: Naturalmente, Hugo Dingler. Mi ricordo, l’ho anche letto, era un libro...

Ernst: Si intitolava Grundlagen der Wissenschaft o qualcosa di simile.

Heinz: Esatto, ha parlato anche lui di operazioni. Si può costruire un piano, ha detto, levigando due oggetti uno contro l’altro. Così si costruisce un piano. Mi è piaciuto molto.

Ernst: Credo che sia stato tramite Dingler che Ceccato ha scoperto Bridgman. […] Dingler credeva di aver trovato un seguace. Ma Ceccato, per sua natura, non era un seguace. Ha scoperto sempre più "errori" in Dingler e infine ha scritto un articolo dal titolo Pro Dingler, contra Dingler. Di conseguenza le lettere di Dingler sono diventate sempre più fredde. Ceccato si voleva riconciliare e gli scrisse: "Per me Lei è come Cristoforo Colombo, è partito per navigare fino in India e ha scoperto l’America". Ha questo punto Dingler si è offeso veramente.

Heinz: Quel che si dice serendipity!

Ernst: […] Una delle cose che disturbavano Ceccato a proposito di Dingler era che i concetti che per Ceccato si formavano tramite operazioni mentali, Dingler li faceva derivare da attività fisiche. Ceccato li voleva spiegare tutti partendo dal mentale.

Heinz: Avresti un esempio ? (pp. 31-32)

Nell’Introduzione al testo - completa di note e bibliografia - leggiamo i riferimenti filosofici e teorici, intorno ai quali possiamo eventualmente approfondire i temi posti all’attenzione del lettore dalla autobiografia costruttivista.

"[…] il costruttivismo radicale si inquadra all’interno di precise coordinate teoriche: anzitutto l’epistemologia genetica di Piaget e l’operazionismo di Bridgman […]; in secondo luogo la Scuola Operativa Italiana e la cibernetica, ovvero gli apporti specifici attraverso cui si definisce la nuova prospettiva epistemologica, in una riflessione che pure si alimenta ad altre fonti - la tradizione filosofica, nel caso di von Glasersfeld, e la teoria dell’autopoiesi, nel caso di von Foerster." (p. XIV)

"Può essere […] opportuno accennare […] a quella "terza radice" del costruttivismo radicale individuabile negli scritti [di] Paul Watzlawick. […] tra le numerose forme comunicative che il nuovo approccio consente di focalizzare, uno in particolare prefigura l’incontro tra la pragmatica di Watzlawick e il costruttivismo radicale. Si tratta della ‘profezia che si autodetermina’ […] cioè il fenomeno in virtù del quale una supposizione, per il solo fatto di essere pronunciata, fa realizzare l’avvenimento presunto […]. Come nel classico caso di chi, immaginando di essere disprezzato, assume nei confronti degli altri un atteggiamento permaloso e scostante, così da provocare disprezzo […]. In questo tipico esempio di circolo vizioso, che contraddice lo schema esplicativo tradizionale, basato sul nesso causale […], viene infatti individuato il principale meccanismo attraverso cui delle convinzioni profondamente radicate producono, nel corso dell’interazione sociale, delle vere e proprie realtà." (pp.XIII-XIV)

BREVE INTERVISTA a Lorenzo Dorelli, autore dell’Introduzione, e a Claudio Del Bello, l’editore

A L. Dorelli vogliamo porre due questioni inerenti il testo; una di carattere strettamente filosofico e di ‘metodo’, l’altra invece sui contenuti.

Domanda-1

Nella Prefazione al testo gli A. si rivolgono direttamente al lettore, dando conto di come, dal 1993, abbiano registrato il loro lungo colloquio, lo abbiano poi pazientemente trascritto e rivisto, mantenendo tuttavia, nella stesura finale, la forma dialogica, al fine di offrire un’immagine della loro ricerca corrispondente a quella che loro hanno "guardato, ascoltato, pensato e vissuto" nel corso degli anni; risulta evidentemente da ciò un’idea della scienza "come un’attività, il creare scienza", e un’idea della filosofia piuttosto come filosofare.

Questo modo di procedere del costruttivismo radicale ci ricorda molto le origini socratiche della filosofia, non tanto per l’analogia con il dialéghesthai, quanto per il peso attribuito da una parte all’oralità e dall’altra all’intersoggetività della ricerca - "la cosiddetta oggettività […] sostituita con la prospettiva dell’osservatore".

Volevamo sapere da lei le ragioni per le quali questa teoria ‘forte’ della filosofia e critica della scienza viene a tutt’oggi considerata invece marginale e addirittura eretica.

Risposta

Sì, tecnicamente il libro è una sorta di intervista incrociata, registrata e trascritta; una procedura che ricorda molto quella della storia orale. Uno dei problemi posti dalla traduzione era proprio quello di restituire il linguaggio colloquiale usato dai due autori, e non è stato facilissimo, dati anche i numerosi passi in cui abbonda l’uso metalinguistico delle espressioni, il continuo passaggio da un idioma all’altro, dal tedesco all’inglese, al francese, all’italiano.

Non credo si possa parlare di un vero e proprio metodo; ma certamente è un’attitudine, che probabilmente si spiega con il fatto che entrambi gli autori arrivano alla filosofia, o all’epistemologia, per vie traverse, sulla scorta di esperienze pratiche, e, soprattutto, collettive; nel caso di von Foerster, la partecipazione agli incontri della fondazione Macy impronta certamente quello stile di ricerca ‘partecipativo’ che connota l’attività del Biological Computer Lab. Mario Ceruti (nella sua introduzione a Sistemi che osservano, la principale traduzione di scritti di von Foerster) ha parlato a questo proposito di arte maieutica. Dai racconti contenuti in Come ci si inventa si evince comunque l’importanza che von Foerster ha attribuito al confronto diretto (come risulta anche dal fatto che buona parte dei suoi scritti nascono da interventi a convegni e seminari). Von Glasersfeld è invece ‘imprintato’ dall’esperienza al Centro di cibernetica di Milano, dove prende parte a quella sorta di dialogo tra lingue che si realizza nell’ambito del lavoro di gruppo sulla traduzione meccanica coordinato da Ceccato. Per non parlare del Lana Project, in cui von Glasersfeld si inventa uno dei più avanzati sistemi di comunicazione uomo/animale.

Sono storie bellissime, che sembrano però difficilmente replicabili. Credo che possano essere interpretate come esperienze ‘interstiziali’, sviluppatesi ai margini delle istituzioni accademiche (dove si scontravano per esempio con il dominio esercitato dal comportamentismo sulla psicologia sperimentale). In ogni caso, esse appartengono a un’altra epoca della ricerca filosofica, scientifica ed epistemologica; un’epoca in cui, tanto per fare un esempio, il ministero della difesa statunitense finanziava ricerche prive di possibili ricadute militari (come quelle del Biological computer lab.). Mi sembra che da questo punto di vista siano cambiate molte cose: non sono certo questi i tempi più favorevoli per ricerche sperimentali di gruppo, interdisciplinari, e gestite in modo partecipativo.

Domanda-2

Nella sua Introduzione al testo lei sostiene che gli A. certamente non intendono, con il loro serrato dialogo, fornire una sintesi completa del costruttivismo radicale, che rimane perciò, da un punto di vista teorico, ancora aperto a ulteriori ricostruzioni, demandate con evidenza all’eventuale lettore interessato.

Lei, in conclusione, propone un possibile sviluppo della critica costruttivistica "al bastione del realismo": ossia la possibilità, non contemplata dagli A., "di considerare l’apporto essenziale venuto in questo senso da parte delle istanze materialistiche più avvertite - segnatamente quelle sviluppatesi nell’ambito della critica dell’economia politica, in quanto prima costituzione di una critica dell’ideologia."

Vorrebbe spiegarci meglio il senso e i riferimenti teorici della sua indicazione al proposito ?

Risposta

In quelle brevi considerazioni mi riferivo alla teoria marxiana del capitale, la quale, mi sembra, implica una critica del realismo altrettanto potente di quella costruttivista, ma esente dalle ‘scivolate’ idealistiche che contraddistinguono quest’ultima.

Mi sembra notevole il fatto che all’interno del costruttivismo convergano esperienze di ricerca e istanze teoriche per molti versi anomale, di cui si può dare una lettura sintomatica. È il caso per es. di Watzlawick e della Scuola di Palo Alto, che, inserendosi nel ‘varco’ aperto dalla crisi del neopositivismo logico, con l’apertura del criterio di significanza alla dimensione pragmatica, riscopre l’utilità scientifica di concetti in odore di dialettica, di cui le correnti dominanti dell’epistemologia si erano liberate da tempo. Così per il concetto di reificazione, che viene peraltro ripreso da Ashby; ma così, soprattutto, per il concetto di contraddizione, che la scuola di Palo Alto pone alla base della sua teoria della comunicazione paradossale. Così, pure, per il modello di conoscenza che i due ‘grandi vecchi’ del costruttivismo mettono a punto, per superare le forme di dualismo, e che li porta (soprattutto von Foerster) a civettare con la dialettica hegeliana.

Il punto è che, per una serie di ragioni, il confronto con quella tradizione appare impraticabile. Anche per questo il costruttivismo non riesce a fuoriuscire completamente dall’epistemologia, che, come sottolinea giustamente Felice Accame, in quanto ‘erede’ della Scuola Operativa Italiana, costituisce una variante del conoscitivismo. Anche per questo alcuni interpreti del costruttivismo finiscono nel ‘mistico’ (che per Hegel, com’è noto, è la forma inadeguata dello speculativo). Anche per questo, il costruttivismo rimane ‘impigliato’ nella contrapposizione idealismo/realismo, tradendo in qualche modo la sua stessa attitudine a superare le dicotomie rigide.

Qualcosa di simile avviene invece nella teoria marxiana del capitale (che rappresenta certamente un momento ‘epocale’, nel senso etimologico del termine, nella storia della scienza economica). Poggiata sulle basi del materialismo storico, ma sviluppata attraverso la critica dell’economia borghese, questa teoria non solo si sottrae a quella alternativa, ma ne fornisce una chiave esplicativa, sia pure all’interno del proprio ‘oggetto’ (il capitale, per l’appunto, inteso come rapporto sociale che si presenta sotto forma di cosa). Non mi sembra opportuno entrare qui nel merito della questione, che peraltro ci porterebbe troppo distanti dal nostro oggetto. Mi limito ad accennare al fatto che nella teoria del feticismo, che è parte essenziale della critica dell’economia politica, si ricostruisce dettagliatamente il meccanismo attraverso cui gli agenti economici percepiscono come proprietà di cose le proprie relazioni sociali. è una critica del realismo (e del volgare materialismo degli economisti borghesi) abbastanza radicale (non c’è in Marx una concezione ingenua della conoscenza come rispecchiamento), che però non arriva a ridurre il capitale a una semplice invenzione, ovvero a una serie di convenzioni escogitate per truffare una massa di ignoranti (come nel pensiero socialista).

All’editore, C. Del Bello, vogliamo porre una domanda sulla collana "Ideologia e conoscenza" inaugurata con questo testo dalla Odradek.

Domanda

Nella Postfazione al libro - curata da F. Accame - leggiamo quanto segue: "Questo libro inaugura una collana in equilibrio tra scienza e filosofia. La filosofia andrebbe bandita […]. La scienza […] andrebbe quantomeno ripulita di tutte le eredità surrettiziamente trasmessele dalla filosofia."

Lei dovrà riconoscere che a chi si interessa quotidianamente di filosofia, in un modo o nell’altro, queste parole risultano quanto mai provocatorie; allo stesso tempo però, leggendo il testo, la provocazione apre una breccia, produce degli effetti ‘costruttivistici’.

La critica all’ideologia è forse, secondo lei, l’unica filosofia possibile oggi ? E la conoscenza assume carattere di scienza solo quando ricostruisce le proprie radici, scrollandosi di dosso il giogo filosofico ?

Critica radicale dell’ideologia dunque, e scienza come costruzione di conoscenze in atto; è questo, secondo lei, il significato sotteso al titolo della collana grigia della Odradek ?

Risposta

Noto che la provocazione di Accame è andata a segno, visto che Lei non esita a parlare di "giogo filosofico", facendo suoi dubbi e sospetti. Ma Accame non mi convince quando lascia credere che la scienza sia stata traviata dalla filosofia. Io piuttosto, messo alle strette, sarei maggiormente orientato ad esprimermi per un influsso negativo nel senso opposto. In realtà, e fuor di schematismi, le cose stanno diversamente. La separazione (fino, talvolta, alla contrapposizione) tra scienza e filosofia è un evento abbastanza recente che si è consumato all’interno delle istituzioni vòlte alla riproduzione del sapere; talché, più che di un evento, si dovrebbe parlare di un processo, durato, anno più anno meno, giusto un secolo, a cavaliere tra il Settecento e l’Ottocento. Questo processo di separazione ha avuto conseguenze sorprendenti e, volta a volta, ridicole e perverse. Pensi alle tante forme di ingenuo riduzionismo germogliate rigogliose in ambito scientifico, ovvero al delirio di onnipotenza antiscientifica del neoidealismo italiano: Benedetto Croce, tanto per fare un nome.

Ecco, a me sembra che nella fase attuale il risultato più evidente e corposo, il precipitato da analizzare è proprio l’ideologia; come se fosse un reperto. Provo a spiegarmi meglio. Questa fase è caratterizzata, tra l’altro, dal crollo, dall’implosione, delle istituzioni scientifiche, ormai completamente sussunte dalla logica capitalistica – e la recentissima riforma universitaria italiana ne è una prova lampante. Conseguenza è che l’ideologia non serve più, per lo meno quella che, con costi sempre più alti, veniva riprodotta nelle istituzioni scientifiche. Le grandi multinazionali chiedono alle università non più intellettuali, ma applicatori di procedure. Ecco allora che l’ideologia come conoscenza, l’ideologia come forma di conoscenza, l’ideologia che affèttava la conoscenza – scelga Lei – ora può essere studiata; solo ora possiamo farne la storia, coglierne l’evoluzione delle forme, facendo corrispondere funzioni ideologiche, istituzioni scientifiche e rapporti di produzione. In questo senso, la critica dell’ideologia non scansa certo la scienza, che ne è stata intrisa forse più di quanto non ne sia stata intrisa la filosofia. Quindi, per rispondere all’ultima delle Sue domande, io credo che la ricostruzione dei processi sia la forma più consapevole di scienza. Da questo punto di vista non posso aderire all’idea di una scienza come "costruzione di conoscenze in atto", nei confronti della quale – bisogna dirlo – la filosofia è infinitamente più ricca.

La vicenda intellettuale di H. von Foerster e di E. von Glasersfeld, descritta nel libro di cui stiamo parlando, è straordinaria in senso stretto, e quindi per niente paradigmatica. Due personaggi tutto sommato marginali, hanno operato nei pori della ricerca istituzionale, ritagliandosi i modi e i tempi della ricerca. Talché, una ricerca così – interdisciplinare soprattutto, libera e creativa –nell’università della riforma Berlinguer-De Mauro, come in tutto l’occidente capitalistico peraltro, è assolutamente impensabile.

SocialTwist Tell-a-Friend
Feed Filosofia.it

Cerca tra le risorse

AUDIO



Focus

  • Laicità e filosofia Laicità e filosofia
    Che cosa significa essere laici nel nostro Paese, dove forte è l'influenza politica della Chiesa? Grandi personalità del pensiero e della cultura riflettono, per la prima volta insieme, su questa questione...
    vai alla pagina
  • 1
  • 2

_______________________________________________________________________________________________________________________________________________
www.filosofia.it - reg. ISSN 1722 -9782  Tutti i diritti riservati © 2016