Scritti politico-filosofici

Nikolaj Gavrilovic Cernicevskij, Scritti politico-filosofici
Traduzione, introduzione e note a cura di Marco Natalizi
Maria Pacini Fazzi Editori, Lucca, 2001

di Carlo Scognamiglio

I saggi di Cernysevskij raccolti in questa nuova pubblicazione, accompagnati da una bella introduzione di Marco Natalizi, si inseriscono tutti in un dibattito politico e filosofico chiaramente superato e facilmente riducibile a peculiarità del naturale sviluppo culturale del popolo russo del diciannovesimo secolo. Tuttavia è veramente interessante ripercorrere i termini di quel dibattito, dal momento che l'oggetto in questione torna ad imporsi grazie alla forza con la quale è stato rimosso. Cernysevskij è stato considerato talvolta un populista, tal'altra un nichilista, se non entrambe le cose, ma ciò che è certo è che la sua appassionata attività intellettuale ha fatto di lui il principale teorico di quel credo materialista della nuova generazione di intellettuali russi. La peculiarità di questo pensatore sta certamente nella sua capacità di fuoriuscire dalla gabbia che rinchiudeva il dibattito culturale russo, ossia il perenne contrasto tra slavofili e occidentalisti, e di consentire l'apertura di un fronte di connessione tra filosofia ed iniziativa politica dall'esito certamente dirompente. Cernysevskij assorbì con grande cautela i contributi delle principali correnti filosofiche europee del XVIII e XIX secolo, con lo scopo di porre sul tavolo del confronto filosofico russo (in particolare difficoltà tra il 1826 e il 1863, in quanto era bandito lo studio della filosofia) la soluzione di ogni forma di dualismo. E' per questa ragione che l'impianto teorico generale dei saggi raccolti in questo libro appare come uno "spinozismo", nella misura in cui intende opporsi tanto ad ogni forma di spiritualismo quanto di gretto materialismo; come una forma di hegelismo, quando l'intento è quello di interpretare quest'immanentismo come principio di comprensione dei cambiamenti economici e sociali. Lo scritto sul "Principio antropologico delle scienze morali", vero manifesto del nichilismo russo, interpreta invece questa critica di ogni dualismo nella direzione del rovesciamento della morale tradizionale, della costruzione di un nuovo modello di individuo, di una sistematica teorizzazione dell'"egoismo razionale", perfettamente incarnata nei protagonisti del "Che fare?".
L'aspetto più interessante e più attuale dell'opera di Cernysevskij risiede invece nel suo "recupero" della dialettica hegeliana; non potendosi certamente definire un idealista, egli tuttavia non manca mai di precisare che Hegel e Schelling avevano perfettamente ragione nel sostenere che "in quanto alla forma, lo stadio superiore dello sviluppo è analogo al mutamento iniziale da cui ha origine" (p. 74). Proviamo a trasportare quest'assioma all'interno della questione che a lungo e stata al centro della politica rivoluzionaria russa di fine Ottocento: l'obšcina, ovvero la proprietà comunitaria della terra, peculiarità dell'organizzazione produttiva dell'agricoltura nella Russia zarista. Cernysevskij considera la comunità rurale diversamente dagli slavofili e dagli occidentalisti, cioè egli non crede che essa possa considerarsi una peculiarità nazionale, ma la ritiene il livello primitivo di gestione della terra, comune a tutte le società. Se lo sviluppo del capitalismo e dell'economia europee avevano fatto in modo che essa venisse progressivamente sostituita dalla proprietà individuale, mentre la Russia per svariate ragioni continuava a mantenere il suo stato di arretratezza, era evidente per Cernysevskij che la produzione capitalistica si sarebbe nuovamente convertita nel suo opposto, cioè in un'organizzazione comunitaria della terra, gestita attraverso le importanti innovazioni e migliorie, apportate dallo stesso capitalismo. Il saggio di Cernysevskij sulla "Critica dei pregiudizi filosofici contro la proprietà comune della terra", in cui per l'appunto tale tesi viene ribadita, colpì molto lo stesso Marx, fino a convincerlo di quest'argomentazione, per rinunciare, con grande disappunto di Plechanov, alla sua precedente interpretazione evoluzionistica della questione russa. In altre parole, Marx si convinse che in Russia non fosse necessario attendere lo sviluppo del capitalismo per sperare in un cambiamento ma, come scriveva in una lettera a Vera Zasulic nel 1881, "lo studio apposito che ne ho fatto, e di cui ho cercato i materiali nelle fonti originali, mi ha convinto che la comune è il punto d'appoggio della rigenerazione sociale in Russia".
Se dunque l'attività intellettuale di Cernysevskij può essere definita populista, dobbiamo in certo senso intenderla come un populismo "virtuoso", non paternalistico, che dà i suoi frutti nella misura in cui l'analisi delle condizioni dei contadini e delle masse sfruttate non si risolve in una loro mitizzazione, bensì in un'acuta ipotesi di costruzione politica. Inoltre, tale impegno sul fronte del cambiamento dei rapporti sociali non abbandona mai la necessità di ribadire, attraverso un immanentismo filosofico, l'indistinzione tra organico e inorganico, materiale e immateriale, ribadendo la necessità di una ricerca che, in tutte le sue difficoltà, è ancora oggi necessario affrontare.

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