Strutture e Catastrofi. Kant Hegel Marx

Alberto Burgio, Strutture e Catastrofi. Kant Hegel Marx
Editori Riuniti, Roma, 2001

di Fabrizio de Luca

L'idea del libro nasce dal convincimento che gli autori indagati (Kant, Hegel, Marx) abbiano nelle loro teorie sulla storia un elemento comune, ossia la storia appare ad essi come il processo in cui si incarna nel mondo la razionalità che modifica le strutture esistenti: la storia è progresso, è storia della libertà. Questa modalità del pensamento della storia che si chiama "modernità", in cuil'autocomprensione storica è il centro teorico essenziale, deve essere indagata nelle sue radici per poter "ritrovare il bandolo di una teoria che in un passato ancora recente interpretò talmente bene il mondo da riuscire anche a trasformarlo" (p. 16). Il testo è diviso in due parti: Il sistema della storia filosofica (Kant, Hegel), Dalla filosofia alla teoria (Marx).
L'analisi del problema della storia in Kant è svolta sulla base dell'esame del termine "natura" negli scritti giuridici, politici e filosofico-storici del pensatore di Königsberg. Nella sua teoria della na-scita della storia Kant scandisce due fasi. Nella prima fase, "priva di finalità", la frammentazione degli individui determina uno stato di natura in cui l'anarchia comporta la "sofferenza" dovuta alla mancanza di leggi; essa "consiste nel puro dispiegarsi della logica immanente alla stessa realtà na-turale" (p. 41), un processo senza soggetto, in cui l'uomo è considerato come una "macchina" vi-vente. La seconda fase è quella della "lunga" nascita della umanità in cui si pone fine allo stato di natura, essa "vede l'intervento della volontà e della coscienza dell'umanità considerata come specie morale" (Id.). La politica è un elemento fondante di questa fase in quanto l'evoluzione delle forme politico-sociali segna la distanza dalle barbarie della prima fase. Si ha così uno sviluppo in cui de-cresce il grado di violenza, che caratterizza l'atteggiamento egoistico degli uomini nella prima fase, e aumenta la razionalità (diritto, giustizia) che governa il cambiamento degli egoismi individuali in finalità più generali: l'uomo fa esperienza dei propri errori, spingendosi verso una più alta raziona-lità. Parallelo al progresso civile e razionale è quello politico, quindi maggiore è il tasso di progres-so morale, minore è quello di dispotismo presente nell'organizzazione comunitaria: il modello ideale di Stato è infatti per Kant quello repubblicano.
La soggettività ha un ruolo costitutivo nel progresso storico, in quanto è "vettore di razionalità e di crescente consapevolezza" (p. 44), la storia è questo processo di formazione in cui la soggettività diviene cosciente di essere protagonista della storia stessa. Il rapporto uomo-natura e più generica-mente ragione-natura assume modalità diverse nelle due fasi storiche. Nella prima fase la natura è considerata nella sua meccanica costituzione come "padrona" del mondo. Nella seconda fase il ter-mine "natura" muta significato. L'umanità nella sua razionalità riduce il potere del meccanismo naturale che rimane in ogni caso il contesto di fondo, ma l'interscambio natura-uomo non è più re-golato da leggi meccaniche, bensì dalle scelte del singolo. Ma è ancora la natura, ricorda l'A., a ve-nire "in soccorso della volontà universale fondata sulla ragione", "è la natura a volere irresistibil-mente che alla fine il diritto conquisti il potere supremo" (p. 48), benché sia la ragione a guidare il processo. L'A. mostra così come vi sia in Kant uno scambio terminologico del termine "natura". Nella visione teleologica in cui Kant pone la sua filosofia della storia è la natura a divenire deus ex machina dell'intera storia umana, e non solo nella prima fase. Il problema, che l'A. pone, non è la cancellazione della differenza della prima e della seconda fase vista la posizione demiurgica della natura, ma comprendere cosa significhi "natura" nella seconda fase. "In questo contesto "natura" è sovente metafora del principio guida di uno sviluppo storico al quale la ragione e la volontà degli uomini contribuiscono in misura crescente" (p. 53). Quindi nella seconda fase Kant dice natura e intende ragione, la natura è una metafora dietro cui si celano la razionalità e l'autonomia dell'uomo. In questa fase quando ci si trova sul registro teleologico il termine è sinonimo di ragione, quando invece è considerato a se stante significa sempre il mondo creato nel suo meccanismo. Si potrebbe dire che per Kant "la storia si risolve nella sostituzione di una nuova natura alla natura originaria" (p. 63). Ma, in ogni caso, per Kant l'uomo non può raggiungere la soluzione perfetta del problema politico (sintesi fra giustizia e potere), la destinazione del genere umano è uno scopo regolativo dei nostri sforzi. La pace perpetua è solo la cessazione della conflittualità e non la sua eliminazione, es-sa è frutto del conflitto stesso.
Visto il significato che il termine "natura" assume, esso ha il senso di una "logica oggettiva dell'azione collettiva" (p. 67), quindi in Kant sorge la prima consapevolezza che il processo storico è riconducibile alla logica delle dinamiche sociali, della prassi collettiva nella sua attività. In tal senso Kant scopre l'immanenza della soggettività nell'oggettività, considerando il processo storico oggettivo frutto di una soggettività universale (il genere umano) fondata sulla sua unità morale. Da questa concezione Kant determina il punto di vista "cosmopolitico", da cui è possibile comprendere il significato degli eventi storici fino a raggiungere la pace quale trasformazione avvenuta della na-tura da "cieco meccanismo" ad "autoriconoscimento della specie come totalità" (p. 75).
Nel capitolo dedicato ad Hegel l'intenzione dell'A. è vedere come la concezione kantiana della sto-ria, che è genericamente il processo di sviluppo e manifestazione della ragione nella realtà, influisca sulla riflessione del filosofo di Stoccarda. L'esame si concentra su due temi, l'idea di lavoro e la ra-zionalità del reale, sulla base dell'interpretazione marxiana di Hegel. Marx riconosce ad Hegel il merito di aver compreso l'essenza del lavoro come luogo della "oggettivizzazione e della autocrea-zione dell'uomo". Nella dialettica servo-padrone della Fenomenologia dello Spirito Marx vede il significato di una determinata dinamica sociale; benché non attribuisca ad Hegel una concezione ri-voluzionaria, egli riconosce in esso i germi della critica dell'economia politica. Dopo aver richia-mato il testo hegeliano sul rapporto servo-padrone ed alcune interpretazioni che sono state date, l'A. afferma che l'unica certezza del testo è che in esso Hegel fa della coscienza servile il paradigma del movimento della soggettività, che scopre nel lavoro la costituzione del suo rapporto col mondo e diviene cosciente dell'inessenzialità della sua posizione di subordinazione. Quindi il piano storico-politico-sociale e quello del processo della formazione della coscienza sono nel testo hegeliano pa-ralleli ed inseparabili.
La lotta per il riconoscimento che si instaura nella dialettica servo-padrone è, usando parole hege-liane, "il fenomeno dal quale è sorta la vita collettiva degli uomini come cominciamento degli Sta-ti" (Enciclopedia delle scienze filosofiche § 433 A); essa è un momento necessario nella storia di un popolo. La condizione servile dà la possibilità di acquisire coscienza della propria potenzialità, se-condo molti interpreti il rapporto servo-padrone è la "metafora del processo di emancipazione della componente subalterna della società" (p. 100). Da ciò l'A. deduce che a ragione Marx afferma che chi lavora servendo contiene il germe della razionalità trasformatrice: "soggetto di prassi (azione consapevole) e di storia" (p. 111).
Dopo aver richiamato la concezione hegeliana della razionalità della storia ed aver mostrato le varie posizioni degli interpreti, l'A. mostra come l'idea marxiana di prassi come attività teorico-pratica, che si costituisce innanzitutto come critica delle posizioni della sinistra hegeliana, sia una riformu-lazione nel suo linguaggio del principio hegeliano della razionalità del reale (e della realtà della ra-gione), letto in una prospettiva dinamica: allo stesso modo "la nozione marxiana di lavoro [costitui-sce], per dir così, il fulcro della traduzione in chiave storico-materialistica dell'ontologia e della fi-losofia hegeliana della storia" (p. 138). Nel concetto marxiano di lavoro-prassi si fonde la prospetti-va soggettivo-oggettiva che è propria della filosofia hegeliana. Il convincimento hegeliano che l'uomo sia protagonista sempre più consapevole della storia, depurato della sua "veste" metafisica, è mantenuto nella concezione materialistica della storia. "In questo senso, proprio perché non ne é la copia fedele, perché seleziona e scarta e sollecita il testo al fine di metterne a valore le potenzia-lità, Marx può essere visto come interprete autentico di Hegel" (p. 141).
Nel capitolo Marx Teoria ed esperienza l'A. esamina sia come Marx accolga l'eredità kantiano-hegeliana nella concezione della storia, sia come ne muti radicalmente il senso. A differenza di Kant ed Hegel in cui vi è l'idea di una filosofia della storia che comprende e racchiude la realtà, Marx muta lo statuto del lavoro teorico, segnando il passaggio dalla filosofia alla teoria della storia.
L'idealistica filosofia della storia è una storia di spiriti e fantasmi, distaccata dai presupposti reali e materiali della vita, sui quali invece si basa la teoria marxiana. Visto che la struttura concettuale nell'ottica marxiana continua a mantenere una funzione decisiva, l'A., sulla scorta di alcune inter-pretazioni, si chiede se la teoria della storia di Marx possa esser accostata alle idealistiche filosofie della storia. Infatti l'empirismo è presente nella sua teoria in un modo particolare in quanto "l'intervento della rete concettuale costituisce la condizione preliminare dell'emergenza dell'intero spettro della fattualità empirica (già della sua costituzione oggettiva), senza distinzioni tra sfere temporali diverse […] Un evento (processo) storico dev'essere preventivamente ricondotto al piano sistematico per divenire accessibile all'analisi" (p. 160). Una forma fenomenica può essere compre-sa nella sua struttura concreta solo se ricondotta ad una struttura concettuale: la "formazione socia-le". Ma l'A. sottolinea che benché le opere in senso stretto teoriche e sistematiche di Marx possano evidenziare una relazione fra la sua teoria della storia e la filosofia moderna della storia (Kant, He-gel), se si concentra l'attenzione sugli scritti politici, storici, sugli interventi giornalistici e su gran parte dell'epistolario, la filosofia di Marx può essere assolta dall'accusa di essere sia una filosofia della storia che una concezione determistica del processo storico. In questo secondo gruppo di scritti il rapporto fra attività teorica ed esperienza concreta muta, colmandosi il divario che sembra esserci a favore della prima. L'A. non vuole mostrare una cesura fra le opere marxiane ma cercare di comprendere la complessità del lavoro teorico e politico del filosofo tedesco. "L'ipotesi che si cercherà di argomentare è che la necessità di interessarsi delle più svariate problematiche politiche, economiche e sociali del suo tempo e l'opportunità di intrecciare scambi di informazioni e rapporti di collaborazione con i più diversi interlocutori […] portino Marx a concepire il lavoro teorico in modo diverso, probabilmente più sobrio, da come tendono a considerarlo gli studiosi professionali, ad attribuirgli, piuttosto che il compito sacrale della ricerca disinteressata della verità, la funzione del laboratorio per la elaborazione di strumenti sempre più perfezionati ma inesorabilmente imper-fetti e provvisori" (pp. 166-7). Marx non vuole determinare il senso della storia, ma definirne i meccanismi che contraddistinguono i suoi momenti. La soggettività diviene un fattore decisivo nelle dinamiche storiche concrete, infatti le previsioni storiche che Marx determina sono di tipo probabilistico, proprio in quanto attribuiscono a fattori soggettivi compiti decisivi, evidenziandosi così come l'accusa di determinismo cada di fronte a questo carattere.
Nell'ultimo capitolo, Un caso concreto: Marx e la Russia tra capitalismo e comunismo, l'A. indaga l'ultima fase della produzione teorica marxiana in cui il pensatore tedesco studia la realtà sociale e politica dell'impero zarista. Dopo aver collocato la riflessione sulla Russia nel quadro completo del pensiero marxiano l'A. sottolinea gli elementi, come ad esempio lo studio delle comuni rurali russe (obšcina) e delle correnti populiste russe, che spingono Marx a ripensare la configurazione dello sviluppo storico. Ciò dà la possibilità di evidenziare come nella riflessione marxiana sia rilevante il fattore soggettivo "ai fini dello sviluppo dei processi di crisi". "Il fatto di ritenere il capitalismo "destinato" a cedere il passo a una nuova forma storica non impedisce a Marx di pensare che il suo tramonto implichi la "coscienza" di sé del proletariato non meno che la sua "forza" materiale, e di ricondurre la famigerata "espropriazione degli espropriatori" all'azione politica di una classe riunita e organizzata" (p. 213). Benché la riflessione sulla Russia non testimoni una svolta epistemologica del pensiero marxiano, essa porta nuovi elementi, come ad esempio la consapevolezza della specifi-cità dei diversi processi evolutivi e l'abbandono dell'ottica eurocentrica. La parentesi russa della ri-flessione di Marx è utile, secondo l'A, per comprendere come le accuse alla questione della previ-sione marxiana come indice del fallimento della sua opera teorica siano infondate. Nella questione russa Marx non veste i panni del profeta, in quanto è consapevole che il passaggio dall'analisi teori-ca al concreto cambiamento di una realtà sociale è "un'impresa che coinvolge intelligenza, volontà e fortuna" (p. 234). "E' un fatto, tuttavia, che l'esperienza dell'ultimo decennio schiude al suo sguardo un quadro in parte nuovo, un quadro che a noi mostra la sua consapevole disponibilità a re-gistrare la complessità dei processi reali e la loro eccedenza e potenza critica rispetto agli schemi teorici. Marx non scambia per realtà i modelli che via via elabora, tiene ben distinte l'osservazione dei fatti e la costruzione di ipotesi formali, considera sempre aperta l'eventualità che avvenimenti non previsti scompiglino le carte della teoria" (p. 235).

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