Sull'inizio e fine della storia. Tra Croce e Hegel

Raffaele Bruno, Sull'inizio e fine della storia. Tra Croce e Hegel
Franco Angeli, Milano, 1999

di Fabrizio de Luca

In questo volume, diviso in tre saggi, Raffaele Bruno esamina, attraverso l'analisi della filosofia he-geliana e crociana, il problema della "Storia". Nel primo saggio, intitolato Esperienza verità storia, l'A. afferma che in Hegel la storia è "il luogo stesso in cui innanzitutto sorgono domande, si pongo-no e risolvono problemi" (p.9), e non l'ambito delle successioni di eventi né lo spazio di determina-zione assoluta dell'accaduto e dell'accadere. La storia è il luogo problematico per eccellenza, il luo-go del giudizio, della riflessione, dell'agire, del domandare e del rispondere. Si instaura così nel processo dialettico hegeliano un continuo rapporto tra una domanda, in cui la verità è presupposta, ed una risposta, che è il differenziarsi della domanda stessa, in cui la verità è posta. Si stabilisce il "circolo vero" fra domanda (principio di possibilità) e risposta (condizione attuata) che sottende al processo della Fenomenologia dello Spirito in cui la verità dell'esperienza si configura come "ri-velazione del profondo".
Il luogo proprio della riflessione è il giudizio che si definisce come circolo della mediazione in cui il negativo si riflette in se stesso oltrepassando le determinazioni fisse, instaurandosi una relazione necessaria fra le cose. Il giudizio separa, decide, conosce sulla base di una totalità indeterminata a cui si rivolge. Questo circolo determina l'impossibilità che la risposta raggiunta sia definitiva, ma sempre oggetto di una successiva mediazione. Il circolo domanda-risposta non è che "l'effettuarsi storico dell'esperienza", la "costante apertura di orizzonte di senso" (p. 14). Questa forza espansiva verso una continua riflessione viene messa in relazione dall'A. con la categoria crociana del "vita-le": l'irrequietezza dello Spirito su cui si basa la concretezza del divenire storico, fondamento di ogni vita spirituale, che è, come il giudizio hegeliano, incondizionata in quanto condizione di sé. La storia è infatti l'assoluto fondamento incondizionato di sé; quindi anche la stessa esigenza di com-prenderla nei vari momenti del domandare, giudicare, conoscere è interna all'orizzonte di senso che è la storia stessa, "circolo che fa circolo con se stesso" (p. 19). La storia è il luogo dialogico per ec-cellenza in cui non vi è stasi ma solo un "ricominciare da capo".
E' proprio l'orrore di decadere nella risposta definitiva a caratterizzare le riflessioni di molti pensa-tori successivi ad Hegel: Feuerbach, Kierkegaard, Heidegger fino ad arrivare al "problematicismo" di Ugo Spirito. L'A. si volge ora all'analisi del problema nella riflessione nietzschiana in cui la sto-ria è colta nella sua irrealtà. Nietzsche afferma che non si può pervenire alla comprensione assoluta della storia, perché la "totalità delle determinazioni", su cui si basa il processo hegeliano, è una ipo-statizzazione della molteplicità. Questa impossibilità umana si fonda sull'incapacità del linguaggio di avere quel carattere veritativo che Hegel afferma: il linguaggio logico non coglie le individualità reali. Ma l'A. obietta che questa incapacità attribuita da Nietzsche al linguaggio dissolve la stessa teoria che la enuncia.
Il bisogno del senso della storia nasce proprio da quel nichilismo - e l'A. oltre a Nietzsche si riferi-sce anche a Weber e Wittgenstein - in cui viene negata la possibilità di una comprensione storica vista la contingenza dell'accadere dei fatti. "Se la storia è l'evento originario di tutto ciò che è stori-co allora la sua verità è tutta racchiusa in se stessa e si diffonde nel suo cammino" (pp. 42-43). La storia si dà in questo intreccio tra riflessioni e connessioni, tra domande e risposte, tra fatti e deter-minazioni; essa è, dice l'A., questa contraddizione irrisolta, "luogo intemporale, insieme profondo e superficiale, del dire e contra-dire, del domandare e del rispondere sempre e di nuovo" (p. 48).
Nel secondo saggio, Rivelazione redenzione storia. Sul detto di Croce: "L'uomo vive nella verità", l'A. analizza il problema della storia partendo dal detto crociano presente nel volume Storiografia e idealità morale. In esso Croce afferma che non vi è nulla che sia esterno all'orizzonte della storia. La verità vive nella storia e noi viviamo nella storia, quindi la verità è il luogo della nostra più pro-pria costituzione. L'A. determina così un rapporto fra verità e storia in cui esse mantengono in que-sta inseparabilità la loro differenza. La verità "è la differenza distinta dall'altra, la sua articolazione interna, e la storia è il differire dell'altra - il suo accadere effettuale, la sua effettualità" (p. 52). Da qui parte una riflessione che mette a confronto la storia del mondo hegeliana, definita da Croce uto-pica e universale, e la storia non utopica crociana. Nella prima la contraddizione logica assorbe tutti i gradi precedenti nell'identità assoluta del risultato in cui si costituisce un orizzonte della totalità compiuta. Il soggetto è autoproduzione riflessiva di sé, è sapere assoluto che dalla sua presenza rea-lizza il tempo storico. La storia è in tal senso un Universale che pone e pensa la storia deducendola a priori. Nella concezione crociana della storia, invece, si costituisce un nesso indissolubile fra ve-rità e storia, fra verità ed ethos (azione), in cui la contraddizione immanente ad ogni forma rende possibile che la storia non si chiuda nella positività assoluta con cui si conclude l'idea di storia he-geliana. Nella storia non utopica crociana l'attività del giudizio storico è la determinazione non di un orizzonte della totalità compresa, ma di un "lembo" di orizzonte in cui verità ed azione si intrec-ciano senza che si anticipi nessuna comprensione storica. Il giudizio storico crociano comprende il passato e prepara il futuro, l'azione senza determinare in modo assoluto la storia.
La differenza fra Croce ed Hegel è chiara. La dialettica hegeliana redime il mondo dal male, non è redenzione del male. La vita passata per Hegel è nostalgia, tristezza della memoria, non è più reale. La storia passata è "consegnata al tempo: alla morte, al maluum mundi" (p. 86). In Hegel la verità conosce il negativo (il male, il sensibile) come strumento per la sua rivelazione. Al contrario per Croce l'universale tensione fra verità ed ethos non deve essere risolta, ma permanere nella struttura stessa della logica della contraddizione immanente. Tutto si deve fondere nell'"orizzonte inquieto del suo in-finito prodursi" (p. 88).
Il terzo saggio, Croce e Hegel. Potenza e impotenza del concetto, inizia richiamando la critica di Croce all'unità hegeliana di filosofia e storia in cui libertà e necessità coincidono. Croce oppone alla visione hegeliana una contrapposizione fra il libero svolgersi della storia nella sua manifestazione di novità e la necessità logica delle forme che rendono intelligibile la storia, che sono permanenti e stabili di fronte alla ricchezza diveniente del reale. In Croce "alla libertà del movimento cor-risponde la necessità della connessione concettuale che la spiega" (p. 90). In tal senso la critica di Croce ad Hegel è simile a quella di Dilthey. All'affermazione del primato del "soggetto", del con-cetto riflesso, si contrappone il primato della sostanza, ossia delle condizioni che muovono l'accadimento storico. Anche in Croce come in Dilthey (vds. Critica della ragione storica) il fluire del tempo presuppone la totalità immutabile delle forme: lo "spazio del tempo".
Nella storia hegeliana l'accadere contingente dei fatti e l'autocomprendersi dello Spirito sono due strati compresenti e mediati. In Croce, invece, sfera concettuale di comprensione storica e libero ac-cadere degli eventi sono posti sullo stesso piano ma non si compenetrano e mediano come avviene in Hegel. Ma l'A. si chiede se realmente ci sia in Croce questa distinzione fra libertà e necessità vi-sto che il giudizio storico pensa l'accadimento nella sua necessità, dandogli esistenza.
La logica dei distinti crociana tende ad affermare il primato del reale, "la positività del positivo" (p. 119), in quanto essa tende ad assimilare il negativo. In tal senso essa opera la "redenzione" del ne-gativo, "dell'errore, del brutto come del male […] cioè di tutta la Vita" (p. 121). La Vita, nella sua positività determinata dal circolo eterno delle forme assolute, è mantenuta nel movimento, ma ne-cessitata ad essere ciò che è. La "logica positiva" di Croce mostra la necessità della storia, quindi prima il filosofo napoletano tende a distinguere libertà da necessità, poi le congiunge ponendole a "far circolo nel circolo eterno delle Forme eterne" (p. 122). Ma il primato della sostanza sul sog-getto (il concetto riflesso) costringe la filosofia crociana, secondo l'A, a ripetere "sempre le stesse cose. Sempre stesse Forme - in circolo o in altro modo" (ibid.)

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