Heidegger e i medievali

AA.VV., Quaestio. Annali di storia della metafisica vol. 1: Heidegger e i medievali
a cura di C. Esposito e P. Porro
Brepols, Turnhout, 2001

di Francesco V. Tommasi

Il primo volume della rivista "Quaestio. Annuario di storia della metafisica" si presenta subito come esemplificativo degli intenti che essa in generale si propone. Come scritto nella pagina di apertura, si tratta "di un nuovo progetto editoriale internazionale dedicato alla ricostruzione della storia di alcuni dei più importanti e influenti concetti e temi della tradizione filosofica...", in cui però "... un'attenzione particolare ... è rivolta anche al modo in cui i filosofi contemporanei si rapportano all'eredità greca o medievale". L'ampiezza di orizzonti e scopi che l'impresa, diretta da Esposito e Porro, si propone è sostenuta da un Comitato Scientifico di primissimo livello (Armogathe, Beierwaltes, Berti, Emery, Hinske, Imbach, Marion, Reale per citare solo alcuni nomi) ed i risultati sono già sinora apprezzabili. Si raccolgono infatti in questo primo numero gli atti di un importante convegno tenutosi a Cassino tra il 10 e il 13 Maggio del 2000, in cui esperti di livello internazionale hanno discusso il tema della relazione tra Heidegger e il pensiero medievale. Tale indagine costituisce allora, secondo i due piani su cui "Quaestio" vuole operare e che si sono menzionati in apertura, sicuramente un fondamentale contributo per ciò che riguarda l'approfondimento della conoscenza del filosofo tedesco, venendo a riempire, o quantomeno iniziando a colmare, un vuoto che, con l'intensificarsi della ricerca heideggeriana, cominciava a farsi sentire in maniera pressante. Al pensiero filosofico e teologico medievale sono infatti dedicati in larga misura gli sforzi del giovanissimo Heidegger e non è esagerato dire che parte del respiro metafisico e dell'ampiezza di orizzonti della maturità risentano di questi studi originari. Il volume presenta un interesse però anche per ciò che riguarda la storia della metafisica in generale perchè, come ormai è ampiamente riconosciuto, la conoscenza delle teorizzazioni medievali risulta imprescindibile per comprendere la modernità, che in diverse maniere vi è comunque legata; tale legame si fa poi ancora più interessante se considerato a partire dal punto di vista di colui che molte descrizioni contemporanee definiscono proprio come soglia di passaggio a quella che, con termine vago ma significativo, viene definita invece "post-modernità".
Dopo gli interventi di saluto di Pecere, rettore dell'Università di Cassino, e di Riedl, presidente della "Martin-Heidegger-Gesellschaft", la sezione dedicata al giovane Heidegger inizia con l'articolo di Casper, che tratta della svolta che nel giovane studente di teologia si registra, da un pensiero indirizzato in maniera pre-critica alla ricerca di un solido e dogmatico fondamento filosofico per le verità trasmesse dalla teologia rivelata, al tentativo di ricercare l'autenticità del vissuto religioso in una forma che si allontani da ogni idolatrismo, anche quelli filosofici. L'attenzione heideggeriana alla mistica, soprattutto in contrapposizione ad un sistema di teologia razionale è evidenziata anche da Poggi, che ricostruisce anche l'ambiente di studi della medievistica tedesca tra la fine dell'800 e i primi del '900. E sempre relativamente al distacco di Heidegger dalla neoscolastica, Volpi si rivolge peculiarmente alle opere di Brentano e Braig, dalla cui lettura il giovane pensatore avrebbe tratto spunti decisivi per l'abbandono di un metodo ormai ritenuto inefficace a rispondere alla questione dell'essere e della sua equivocità.
Nella seconda sezione si trova anzitutto il testo di Narbonne, in cui si sostiene l'irriducibilità del neoplatonismo alla categoria heideggeriana di ontoteologia, e dunque la possibilità - persa da Heidegger in una lettura che Narbonne definisce in sostanza superficiale e banalizzante - offerta da questa tradizione di raggiungere un vero pensiero della differenza. Ruggenini poi analizza la progressiva presa di distanza di Heidegger dalla comprensione tomista della verità, secondo una linea che, se nelle prime fasi del pensatore tedesco lo portava a condividere la teoria per cui l'intelletto (e dunque in generale l'uomo) è il luogo precipuo del vero, successivamente mette in contrapposizione sempre più la "veritas", vista come oggetivazione, alla "alétheia", ossia ad una teoria del disvelamento. Von Herrmann sottolinea invece il ruolo di Agostino, e particolarmente della descrizione del tempo nel libro XI delle "Confessioni", su Heidegger, il quale apprezza la messa in luce della dipendenza del tempo dall'anima (rispetto ad esempio, alla teoria di Aristotele), ma critica al contempo il restare eccessivamente legato del Vescovo d'Ippona ad una comprensione ontica.
Relativamente poi al problema della "Filosofia cristiana" l'intervento di Mazzarella descrive la necessità per la filosofia e la teologia di essere pensieri della finitezza e dunque di doversi fondare sulla fede nella persona di Gesù Cristo piuttosto che su proposizioni razionali, e mette inoltre in discussione gli esiti dell'ultimo Heidegger, soprattutto in riferimento ai "Beiträge zur Philosophie" e al tema dell' "ultimo dio". Fabris invece, descrivendo la somiglianza delle categorie ermeneutiche ai concetti della rivelazione cristiana e dunque sostenendo addirittura il carattere necessariamente cristiano dell'ermeneutica filosofica, sostiene che molti aspetti del pensiero heideggeriano sarebbero appaiabili a nozioni teologiche. Speer poi si rivolge al tema della sapienza, e alle sue descrizioni in Heidegger e nei medievali, quale esempio della natura ancipite della filosofia, che è combattuta tra la sua propria realizzazione come scienza perfetta e il suo continuo tendere a questo ideale irragiungibile; Speer vede in questa dinamica l'esemplificazione della struttura propria dell'uomo quale descritta in parte anche da Heidegger, di cui però sottolinea poi la radicale differenza con il Cristianesimo nella comprensione della morte. Grossmann infine si occupa dell'interesse del primo Heidegger per Lutero e ne mostra la distanza dalle opposte interpretazioni, dominanti all'inizio del ventesimo secolo, di Troeltsch e Hoss; l'esempio di Lutero sarebbe in Heidegger anzitutto paradigmatico della ermeneutica della fatticità, per poi invece essere considerato più tardi solo un elemento della storia decadente della metafisica occidentale.
Nella parte dedicata ai rapporti heideggeriani con Tommaso e Scoto, Courtine e Coriando discutono, rispettivamente rifiutandola e accettandola, l'adeguatezza della categoria di ontoteologia per il pensiero di Tommaso, mentre Todisco analizza il ruolo che il pensiero scotista, e particolarmente una comprensione neutralizzata dell'ente, avrebbe avuto secondo Heidegger nei confronti dello sviluppo della filosofia moderna. Ancora dedicato all'ontoteologia è invece l'intervento di Boulnois (collocato però nell'ultima sezione), che descrive la complessità e irriducibilità ad una categoria unica del quadro degli autori medievali, prendendo spunto dall'analisi di ciò che essi, secondo posizioni diverse che oscillano tra una preminenza assoluta assegnata all'ente in quanto tale o a Dio, consideravano come l'oggetto precipuo della metafisica. Caputo infine, rivolgendosi allo scritto di abilitazione sulla "Grammatica speculativa", ne descrive gli elementi che già mostrano un'iniziale presa di distanza dalla metafisica e costituiscono quindi i prodromi della successiva analisi esitenziale.
Proseguendo, Vitiello, nella sezione intitolata "Metafisica, teologia, mistica", individua nella nozione eckhartiana di "Abgeschiedenheit" una vicinanza con la heideggeriana "Gelassenheit", così come nel vissuto della paura una esperienza limite descritta in modo simile da entrambi gli autori, accomunati soprattutto nella tendenza fondamentale rivolta al superamento del pensiero rappresentativo. Sempre ad Eckhart è dedicato anche l'intervento di Strummiello, che cerca di rinvenire un parallelo tra la distinzione operata dal mistico renano tra Dio e divinità e il tentativo heideggeriano di distanziarsi dal pensiero ontoteologico: vi sarebbero comunque anche radicali differenze tra i due, date soprattutto dall'orizzonte neoplatonico - e dunque orientato in certo modo sempre ad un fondamento - , in cui si muove Eckhart. Pellecchia invece sottolinea quella che sarebbe stata una lettura falsa di Heidegger dell'argomento anselmiano del Proslogion, in cui verrebbe accentuato l'aspetto relativo all'"ens realissimum" piuttosto che quello, descritto qui come molto più fondamentale, di negazione delle possibilità di definire positivamente Dio. Beck infine "legge con Heidegger una poesia di Rilke" in quello che definisce un "commentario fittizio."
Esposito poi, in un'ultima sezione dedicata più in generale al " Medioevo e la 'storia della metafisica' ", rivolge la sua attenzione alla lettura heideggeriana di Suarez, orientata da una parte alla descrizione del ruolo fondamentale giocato da questo autore, nonostante il suo essere ancora pienamente all'interno di un orizzonte cristiano, nel raggiungimento di una comprensione moderna di metafisica come scienza autonoma e sganciata dal riferimento alla teologia naturale; dall'altra alla critica della comprensione della nozione di "esitenza" del pensatore spagnolo. Il volume infine si chiude con l'intervento di Porro, che sottolinea come, seppure le tesi heideggeriane relative al medioevo (secondo le quali tale periodo avrebbe mantenuto sostanzialmente la comprensione antica dell'essere, apportandovi solo una cristianizzazione della visione del mondo e una latinizzazione del vocabolario) abbiano avuto poca influenza sullo sviluppo della medievistica, tuttavia esse abbiano contributo in maniera decisiva a far sì che molti studiosi, sulla scorta dell'idea della filosofia come esperienza di pensiero, si siano interrogati e si interroghino sul senso del pensiero medievale in generale.
Il volume poi, oltre a contenere una vasta bibliografia sul tema in questione curata da Caputo ed Esposito, si chiude con una sezione di Varia. Note Cronache Recensioni.
Come risulta evidente da questa panoramica necessariamente breve, l'opera è molto ricca, e se un giudizio dettagliato dei singoli articoli risulta chiaramente impossibile, si può però tranquillamente sostenere che la lettura dell'intero possa risultare di grande interesse sia agli studiosi di filosofia medievale, sia agli esperti del pensiero heideggeriano, sia infine a tutti coloro che, praticando la filosofia, non possono esimersi dall'interrogarsi su momenti decisivi della sua storia. L'attesa per il secondo volume della rivista allora, che sarà dedicato alla causalità, non può che essere grande.

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