Il Libro dei ventiquattro filosofi

AA.VV., Il Libro dei ventiquattro filosofi, a cura di Paolo Lucentini
Adelphi, Milano, 1999

di Alessandro Malgrati

Il titolo di questa opera è anche un'immagine suggestiva e di per sé ricca di mistero che, come avremo modo di vedere, avvolse da subito "Il libro dei ventiquattro filosofi".
Tanti furono, secondo un autore a cui tutt'oggi non è possibile dare identità certa, i pensatori che si riunirono in simposio per argomentare intorno ad un tema che, analizzato in tutte le sue implicazioni, possiamo affermare risulti centrale nel pensiero filosofico occidentale fin dai suoi albori: cosa è Dio?
Nel prologo si dice infatti: "nel corso di un convegno di ventiquattro filosofi un solo punto rimase loro in questione: che cosa è Dio? Allora con decisione comune, si dettero un periodo di attesa, e stabilirono il tempo di un nuovo incontro. Ciascuno avrebbe esposto la propria idea di Dio in forma di definizione, e poi, di comune accordo, avrebbero tratto dalle singole definizioni qualcosa di certo intorno a Dio" (pag. 52, prologo).
Ma prima di inoltrarsi nel vivo delle "sentenze" il curatore del volume, Paolo Lucentini, cerca di offrire un quadro delle indicazioni teoretiche offerte dal testo e dalle quali parte la ricerca volta a determinarne le origini.
La collocazione storica del Liber non è di facile individuazione ma la struttura ed i contenuti svolti al suo interno lasciano intendere che si collochi intorno alla seconda metà del XII secolo. L'uso del metodo assiomatico, per esempio, lo pone in relazione con alcune opere di quel periodo, ed in particolare con il commento di Gilberto Porretano al De hebdomadibus di Boezio, che prende le mosse dalla evidenza di alcune formulazioni enunciate in forma assiomatica per svilupparne un'argomentazione.
Le ventiquattro definizioni tracciano così una sorta di percorso della mente umana nel tentativo di tradurre in concetti una prima intuizione del divino: un metodo che alterna una speculazione teologica policentrica e insieme unitaria, che "(…) attraverso verità manifeste e universali e la loro esplicazione in termini analitici e discorsivi, conduce, in un cammino di slanci intuitivi e rigore razionale, verso l'inconoscibile luce dell'unica e infinita natura divina" (pag. 14).
Anche le linee dottrinali sono state individuate in maniera piuttosto chiara: la "piattaforma" su cui poggia l'opera è un neoplatonismo dai tratti marcati, dove trovano congiunzione l'emanatismo di origine porretana dalle forti influenze tratte dalla teologia greca di cui abbiamo già fatto menzione, ed un altrettanto chiaro utilizzo della via remotionis , processo puramente mistico di avvicinamento "per negazione" alla essenza divina, di cui il greco Dionigi Aeropagita, conosciuto dal mondo latino attraverso la traduzione di Giovanni Scoto Eriugena, fu uno dei principali fautori.
Ma, come abbiamo detto, tale analisi condotta sul versante teoretico è orientata soprattutto all'individuazione dell'epoca in cui venne steso il Liber: due sono le ipotesi che si contrappongono.
La prima vede Clemens Baeumaker, primo ad aver pubblicato il testo nella sua forma integrale ed originaria nel 1913 e nel 1927, e Marie-Thérèse d'Alverny (in un testo del 1949) volgere la propria analisi alla tradizione platonica; la seconda abbracciata da Françoise Hudry, in uno studio del 1992, collega l'opera al pensiero teologico di Aristotele ed alla elaborazione alessandrina del III secolo. Due fasi del pensiero occidentale riprese in periodi diversi del medioevo.
Il campo privilegiato per il discernimento dei principali dubbi è costituito prevalentemente dalle prime due sentenze. La prima afferma: "Dio è una monade e in sé riflette un solo fuoco d'amore". L'elaborazione e l'analisi del concetto di monade, il principale ma non l'unico presente in questo enunciato, è da ricercarsi nel pensiero dei filosofi neoplatonici cristiani come il già più volte citato Dionigi Aeropagita, mentre il ruolo predominante svolto dalla scienza numerologica addirittura di remota origine neopitagorica, che risulta evidente nella enunciazione di un movimento dalle tre fasi, verrà sviluppato da Teodorico di Chartres nella prima metà del XII secolo.
Sullo sviluppo trinitario (ma più precisamente, per il momento, lo chiameremo ternario) della monade divina si apre un altro scenario di un'ampiezza teoretica e storica che attraverserà il medioevo e porterà le sue influenze su tutto il pensiero occidentale.
Una natura ternaria del divino viene, infatti, reiterata in numerose sentenze e accompagna il concetto di unitarietà espresso dalla monade: il mistero di un Dio indivisibile che si manifesta, come parola-mente-legame (IV), principio processo fine (VII), potere-essere bontà (X), potenza-sapienza-volontà (XII) unità verità bontà (XV), colui dal quale, per il quale e nel quale sono tutte le cose (XXII). Tre momenti estranei allo spazio ed al tempo e misticamente tre persone per le quali non vi è nel modo più assoluto distinzione di dignità.
Il nodo che lega sapienza greca di natura neoplatonica e aristotelica alla tradizione cristiana della prima metà del XII secolo viene, quindi, a stringersi fino a rendere difficoltoso il tentativo per tenere separati i due versanti.
La concezione circolare della Trinità, ad esempio, concepita come movimento d'amore che dal Padre va al Figlio e da questi viene restituito al primo, sarà oggetto di lunga ed articolatissima elaborazione da parte di grandi pensatori cristiani: Bonaventura da Bagnoregio, Alberto Magno fino a S.Tommaso d'Aquino.
E' proprio il movimento misterioso di tre persone che sono esattamente una monade, ad introdurci alla seconda sentenza: "Dio è un sfera infinita, il cui centro è ovunque e la circonferenza in nessun luogo". Qui Lucentini invita a procedere nell'analisi da due differenti punti di vista: il concetto di infinito e il contenuto teologico dell'immagine.
Il concetto portante di Sfera infinita va analizzato in senso spaziale ma soprattutto gnoseologico perché, essendo "il centro ovunque", è impossibile per il pensiero umano delimitare ciò che lo trascende. Una metafora spaziale (la circonferenza il cui centro è ovunque) per esprimere la sfuggevolezza dell'essere supremo: paradosso del simbolo, che si serve di una metafora geometrica per esprimere ciò che non è limitabile.
Ma tale simbolo vuole aprire le porte anche alla seconda chiave interpretativa, quella teologica: "Sembra dunque" spiega Lucentini "che nella sfera il centro esprima la fonte trascendente del flusso creatore, e la circonferenza l'inesausta espansione creatrice: l'una e l'altra inconoscibili all'anima, perché stabilite nell'eternità che precede e fonda il numerabile trascorrere del tempo" (pag.33).
Il simbolo della sfera accompagna anche il commento alla sentenza XIV, che propone, però, l'opposizione tra Dio e il nulla. Anche qui è la potenza di tale simbolo a tentare di tradurre il mistero dell'essere che vince sull'assenza di essere: la sfera contiene come un prigioniero il nulla e chiama, per effusione d'amore, gli enti all'essere.
Nell'immagine degli enti che costituiscono il limite della sfera e si dispongono intorno al loro centro vi è tutta la forza esplicativa del processo trinitario, fondamento, nella elaborazione teologica del XII secolo, della vita e quindi dell'atto creativo perpetuo di Dio.
"Se la profondità e la bellezza di una metafora risiedono nella molteplice verità dei significati che da un'unica figura si offrono allo spirito" dice Lucentini, "si comprende allora l'inesausto fascino che l'immagine della sfera infinita ha esercitato sull'intelligenza medievale e moderna.
L'unità trinitaria della monade, l'espansione dell'Uno nella circonferenza infinita delle processioni eterne e delle processioni creatrici, la trascendenza assoluta che sfugge alla conoscenza e si nasconde nelle tenebre dell'anima: sono questi i motivi centrali del Liber , come raccolti e dedotti intorno alle prime due sentenze" (pag. 37).
A questo punto è possibile formulare una risposta all'interrogativo di fondo che ha pervaso l'introduzione di Lucentini: quella sulle origini.
il Liber è "Un prodotto singolare, ricco di inventiva e di passione filosofica, composto poco dopo la metà del XII secolo, un periodo così misterioso e sconcertante, che ha voluto, alle soglie della riscoperta di Aristotele, indagare più a fondo le risorse speculative del pensiero antico e impegnare la ragione cristiana in un rinnovato confronto con la tradizione neoplatonica" (pag. 46).

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