Marx e Gramsci. Memoria e attualità

AA. VV, Marx e Gramsci. Memoria e attualità,
a cura di Giuseppe Petronio e Marina Paladini Musitelli
Manifestolibri, Roma, 2001

di Giorgio Cesarale

Questo libro è la riproduzione degli atti di un convegno tenutosi nel marzo del 1999 a Trieste sul problema del nesso che lega la riflessione teorica di Gramsci con quella di Marx. Un tema, come avvertono i curatori, non proprio all'ordine del giorno nel dibattito filosofico contemporaneo e che pure dovrebbe suscitare benpiù di un cursorio interesse. Ciò perché, come spiega bene in apertura Giuseppe Petronio, Gramsci è forse una delle figure di pensatore più esemplari nello sforzo di misurarsi con le notevoli trasformazioni economico-sociali, politiche, culturali intervenute nel suo tempo, la prima metà del Novecento, mantenendo al contempo un rapporto vivo e fecondo con i grandi teorici della modernità, come Machiavelli e Marx. Stesso compito, suggerisce Petronio, si dovrebbe eseguire oggi, entro un contesto di nuovo attraversato da profonde innovazioni economiche e politiche. In questo senso, la lezione di Gramsci dovrebbe acquistare rinnovata validità. In possesso di questa traccia di lettura si comprende meglio il senso di alcuni contributi presenti nel testo che a prima vista appaiono un po' laterali rispetto al nucleo del convegno, che è il confronto e sul piano filosofico e sul piano della teoria politica tra Gramsci e Marx. Interrogarsi, dice lo storico Donald Sassoon, sul modo con il quale Gramsci ha stabilito le sue mediazioni teorico-politiche con la vulgata di Marx della Seconda Internazionale e con quella in via di cristallizzazione della Terza, non può che essere funzionale al modo con il quale noi oggi dobbiamo confrontarci con la vulgata di Gramsci che si è via via assestata negli anni '60 e '70 del secolo scorso. Da un'altra angolatura si propone scopi analoghi Aldo Tortorella nel suo contributo dedicato allo scandaglio delle comuni radici etiche del pensiero di Marx e di quello di Gramsci, entrambi portatori, più implicitamente nel primo e più esplicitamente nel secondo, di una morale ricca di motivi universalistici e di valorizzazione della scelta morale contenuta nell'agire politico. Ancora su un altro versante, ma con la stessa intenzionalità si muovono le riflessioni di Francisco F. Buey e di Marina Paladini Musitelli nei loro studi sulla teoria gramsciana dell'arte, della letteratura e della lingua raffrontata con le acute, benché esigue, osservazioni marxiane su questo medesimo terreno. Entrambi gli studiosi convengono, giustamente, sulla necessità di collocare la riflessione gramsciana sull'arte entro il più ampio contesto della lotta per l'egemonia e una nuova civiltà e per quella che Gramsci stessa chiamava la riforma morale e intellettuale delle classi subalterne. Una menzione particolare infine, per l'altissimo valore della sua ricerca documentaria, merita l'indagine di Giorgio Gilibert che ricostruendo il rapporto tra Gramsci e Sraffa ne individua il senso e il motivo di esistenza non solo in ragioni di ordine politico e affettivo, come si è fino ad ora fatto, ma anche in ragioni di ordine propriamente teorico. Gilibert sostiene infatti che a base delle equazioni dei prezzi di Produzione di merci a mezzo di merci, l'opera capitale di Sraffa, ci siano ben più che Ricardo, come afferma usualmente la letteratura economica, cioè gli schemi di riproduzione del secondo Libro del Capitale. Sraffa, secondo Gilibert, avrebbe ricevuto gli stimoli a studiare questa importante sezione del Capitale proprio da Gramsci, il quale era tornato ad avvertirne la crucialità in concomitanza del fitto dibattito svoltosi in Russia negli anni '20 sui problemi dell'accumulazione e della pianificazione socialista. L'interpretazione degli schemi di riproduzione del secondo Libro del Capitale, infatti, ha rappresentato uno dei punti focali di tale contesa.
Il corpo centrale del libro è secondo noi, tuttavia, la sua parte più sollecitante sul piano teorico. Sono infatti i contributi di Fabio Frosini, di Guido Liguori, del traduttore tedesco dei Quaderni del carcere Wolfgang Fritz Haug, di Roberto Finelli, di Andrea Catone e di Jacques Texier a toccare i nervi più sensibili del pensiero gramsciano. Del complicato ordito che sostiene l'elaborazione filosofica di Gramsci e il suo rapporto con Marx messo accuratamente in luce dagli studiosi appena citati almeno tre ci paiono i momenti più strutturanti: il concetto di praxis, il rapporto tra economia e politica e il nesso scienza/ideologia. Fabio Frosini, autore di una impegnativa analisi delle modalità e delle articolazioni del "ritorno a Marx" avvenuto nei Quaderni, si sofferma opportunamente proprio sull'importanza del concetto di praxis nel tardo pensiero gramsciano. Esso è la chiave di volta per comprendere il rifiuto opposto da Gramsci sia alla metafisica materialistica che all'idealismo speculativo oltre che per riconfigurare i classici concetti filosofici di verità e oggettività. Per Gramsci, su questo fedele discepolo di Labriola, ma anche dei giovani Croce e Gentile, il "midollo del materialismo storico" sta nella concezione della verità come praxis, e cioè come concreta situazione in cui l'uomo sperimenta relazioni di trasformazione con la realtà naturale e sociale e nel far ciò viene al contempo trasformato. È l'eredità delle Tesi su Feuerbach che, insieme alla Prefazione a Per la critica dell'economia politica rappresentano i testi marxiani più frequentati da Gramsci. Sul medesimo tema si intrattiene Wolfgang Fritz Haug che sottolinea i riverberi positivi che provengono dalla filosofia della praxis schizzata da Gramsci oltre che sul concetto di oggettività anche sul modo di intendere l'esperimento scientifico, la pratica filosofica, le trasformazioni dell'apparato produttivo. Ma è proprio questo rimaner legato al paradigma della praxis pur riscrivendolo in profondità a soddisfare poco Roberto Finelli. La novità che Gramsci introdurrebbe rispetto all'ingenuo empirismo della concezione dell'attività umana tipica della fase giovanile del pensatore del Capitale, e cioè una pluralizzazione delle qualità d'essere della soggettività collettiva, non più costituita e definita solo dall'attività materiale-produttiva, perderebbe molte delle sue potenzialità una volta che si leghi alle esigenti pretese del concetto di praxis produttiva intesa anche come disciplinamento della pulsionalità corporea del lavoratore. Ma lo stesso concetto di praxis collettiva, e con ciò entriamo nel campo del rapporto economia/politica, porta Gramsci, secondo Finelli, a trascurare i potenti fattori di socializzazione che sono all'opera nella sfera economica, secondo quanto Marx ha sostenuto soprattutto nel Capitale. Su questo conviene anche Haug, mentre Andrea Catone mantiene una posizione più sfumata. Mettendo a confronto l'analisi di Americanismo e Fordismo con i capitoli marxiani del I libro del Capitale dedicati all'analisi del processo lavorativo capitalistico, Catone rileva un'ambiguità irrisolta nella teorizzazione gramsciana: è il lavoratore collettivo pura forma di capitale, come le macchine, e quindi necessitante di una integrazione politica - il partito - esterna al processo produttivo, secondo il modello marxiano e leniniano, oppure è già in qualche modo soggetto? Contro la tesi di un Gramsci tutto preso ad occuparsi del politico e del culturale e sdegnoso di promuovere analisi economico-sociali si schierano due fra i più ferrati esperti del pensiero gramsciano, Guido Liguori e Jacques Texier. Tutti e due si premurano di mettere in rilievo il momento economico contenuto nel concetto di "società civile", premessa indispensabile per capire la critica dell'economismo e il concetto di egemonia. Sulla questione, infine, del rapporto tra scienza e ideologia in Gramsci, tema secondo noi di estrema delicatezza in cui forse si gioca più che in altri luoghi teorici la qualità del rapporto del pensatore sardo con Marx, non si può non sottolineare la lucidità delle osservazioni offerte da Frosini e da Haug a tal riguardo. In questo punto si consuma probabilmente un allontanamento della prospettiva gramsciana da quella marxiana: mentre infatti in quest'ultima la separazione della scienza dall'ideologia è operazione assicurata dall'individuazione di un solido criterio di oggettività, l'analisi dei rapporti sociali di produzione, non così la cosa pare svolgersi in Gramsci. Per quest'ultimo, come dice bene Frosini, la scienza vive sempre fusa e intrecciata con posizioni di pensiero parziali, unilaterali, cioè ideologiche. E tali posizioni sono parziali e limitate perché la sanzione ultima della verità per Gramsci non è mai un processo puramente contemplativo, ma attivo e pratico. La verità racchiusa nella prassi,infatti, deve essere giocoforza sempre impura, sempre mischiata con la parzialità delle proprie posizioni di partenza.

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