Il Secolo XIX

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Il Secolo XIX-11 Febbraio 2003

Così parlò Nietzsche

Intervista a Domenico Losurdo autore di una monumentale monografia dedicata al pensiero del filosofo più discusso nel Novecento. Un reazionario contro le guerre umanitarie. Un mastodontico volume di oltre mille pagine per ricostruire il complesso e problematico pensiero del filosofo più discusso nel Novecento. Nietzsche, il ribelle aristocratico (Bollati Boringhieri, pag. 1167, Euro 68) è l’ultima fatica di Domenico Losurdo, ordinario di storia della filosofia all’Università di Urbino.

di Paolo Battifora

Professore, perché la scelta di Nietzsche?

«Nietzsche è un autore decisivo della seconda metà dell’Ottocento senza il quale non si può comprendere nulla di quel che è avvenuto in seguito e che ha ancora molto da dire all’uomo contemporaneo. Detto questo va però sottolineato come egli rimanga fortemente legato al suo tempo. E’ per questo che polemizzo con

la visione innocentista del suo pensiero ».

In che senso?

«Nelle opere nietzscheane troviamo motivi decisamente ripugnanti. Espressioni come “annientamento di milioni di malriusciti”, “annientamento delle razze decadenti”, “nuova schiavitù” rinviano a quel clima ideologico dell’Europa della seconda metà dell’Ottocento da cui avrebbero tratto alimento il fascismo e il nazismo».

Nietzsche fautore della schiavitù?

«Ai suoi occhi solo la schiavitù rende possibile la civiltà. Epperò, si deve notare che egli celebra l’istituto della schiavitù in un periodo di tempo in cui le grandi potenze portano avanti l’espansione coloniale, agitando la bandiera dell’abolizione della schiavitù e dell’universalismo dei diritti umani. In questo senso, proprio a

partire dal suo progetto politico reazionario, Nietzsche finisce con lo sviluppare una critica ante litteram della guerra umanitaria e dell’imperialismo dei diritti umani».

Perché questa centralità in Nietzsche del tema della schiavitù?

«Perché su di essa, secondo lui, si fondava la stessa civiltà. La vita cosciente di Nietzsche, ricordiamolo, si colloca tra gli anni della guerra di Secessione negli Stati Uniti, conclusasi con l’abolizione della schiavitù, e il 1889, anno del suo sprofondamento nella pazzia, data in cui vengono liberati gli schiavi in Brasile. Quando

Nietzsche parlava di “strumenti di lavoro”, alludendo alla stragrande maggioranza degli uomini al servizio della classe dei signori, bisogna prenderlo sul serio: in lui è presente una componente naturalistica (lo schiavo tale per natura) la cui tradizione risale a Platone e Aristotele».

Lei definisce Nietzsche ribelle aristocratico. Perché?

«E’ stato un grande critico della tradizione rivoluzionaria. Secondo lui la catastrofe della democrazia non è iniziata né col socialismo, né con la rivoluzione

francese e neppure con Lutero, protagonista di quella Riforma alla base della futura rivoluzione del 1789. Il suo percorso a ritroso giungeva sino alla predicazione evangelica che, con la categoria di uguaglianza, avrebbe dato vita al ciclo rivoluzionario».

L’Occidente frutto quindi di un bimillenario ciclo rivoluzionario?

«Possiamo annoverare Nietzsche come il primo teorico della lunga durata e come colui che, dissacrando la storia dell’Occidente, ci ha aiutato a superare il nostro radicato eurocentrismo».

Nel suo libro lei polemizza fortemente con la monumentale edizione critica delle opere di Nietzsche curata da Colli e Montanari e con le rimozioni e le censure operate da quello che definisce catechismo nietzscheano.

«Io contesto la lettura “musicale” auspicata da Colli per il quale bisognerebbe “ascoltare Nietzsche come si ascolta la musica”. Cosa c’è di musicale nelle espressioni sopra ricordate? La loro traduzione contiene inoltre errori, forzature, “censure”. La tendenza a immergere Nietzsche in un bagno di innocenza, con la rimozione

delle sue pagine più inquietanti, crea una sorta di catechismo. Se autori di diversa provenienza come Pareto, Weber, Mayer, Nolte, Hobsbawm collocano Nieztsche nel filone della reazione antidemocratica di fine Ottocento, qualche motivo dovrà pur esserci».

Cosa ne pensa della Nietzsche-Renaissance attuatasi nella Francia degli anni Sessanta e del recupero a sinistra di questo pensatore?

«Dissento dai bagni d’innocenza e da un’ermeneutica nietzscheana a senso unico, di tipo libertaria ed emancipatoria, portata avanti da filosofi quali Vattimo, Deleuze, Foucault».

A proposito di Vattimo: cosa ne pensa della sua interpretazione in chiave ermeneutica della discussa figura dell’Übermensch, da lui resa con “oltreuomo”?

«La mia traduzione è “superuomo” e nel libro metto in evidenza come il neologismo Untermensch (sottouomo, ndr.), creato in inglese negli anni Venti dal pubblicista americano Lothrop Stoddard e poi fatto proprio da Rosenberg e dai nazisti, sia nato in specifico riferimento all’espressione nietzscheana. Prendiamo anche il

termine Über-Art (superspecie, ndr.): se da un lato allude ad un’umanità liberatasi dai pesi della tradizione, dall’altra mantiene chiari riferimenti ad una concezione eugenetica».

Un filosofo quindi altamente ambivalente?

«Nietzsche, al pari di molti suoi contemporanei, non riteneva vi fosse contraddizione tra la libertà e l’emancipazione individuale e la contemporanea difesa della schiavitù. Non ci si stupisca più di tanto: il vicepresidente ottocentesco degli Stati Uniti Calhoun, liberale convinto, e il grande Locke dicevano le stesse cose.

Nietzsche è il punto culminante di tutta una tradizione occidentale per cui la libertà doveva essere riservata

ad una ristretta comunità».

Che dire in definitiva di Nietzsche?

«Il suo pensiero resta grande ed attuale ma non vanno minimizzati gli aspetti inquietanti e inaccettabili della sua riflessione. Nietzsche va preso sul serio qualunque cosa egli dica».

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