Stilos. Il settimanale dei libri

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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"Stilos. Il settimanale dei libri" (La Sicilia) del 18 febbraio 2003

Intervista a Domenico Losurdo

di Nicola Adragna

Realmente, La nascita della tragedia può essere vista come un elogio del primato germanico, come lei sostiene nel suo libro?

Alle spalle di questa opera, che segna il debutto filosofico di Nietzsche, agiscono l'angoscia e l'orrore per la Comune di Parigi: a causa dell'"ottimismo", la civiltà va incontro ad un'"orrenda distruzione"; la "fede nella felicità terrena di tutti" fa tremare la società "fin nei più profondi strati", seminando lo scontento in "un ceto barbarico di schiavi", che, sedotto da idee utopistiche, avverte ora "la sua esistenza come un'ingiustizia" e esplode in rivolte incessanti. A poter sventare la minaccia mortale che pesa sulla civiltà può essere solo il Secondo Reich appena fondato, e fondato sull'onda della vittoria trionfale riportata sulla Francia, il paese dell'illuminismo e della rivoluzione. Il Secondo Reich è chiamato da Nietzsche a liberarsi una volta per sempre dalle incrostazioni neolatine per ritrovare la sua essenza germanica, greca, tragica e dionisiaca, in modo da liquidare definitivamente la visione ottimistica del mondo, che è a fondamento della civilizzazione latina e del ciclo rivoluzionario imperversante in un paese latino qual è la Francia. Se La nascita della tragedia scioglie un inno al "nocciolo puro e forte dell'essenza tedesca", alla "splendida salute, profondità e forza dionisiaca" dello "spirito tedesco" e del "genio tedesco", gli appunti coevi si spingono ancora oltre: individuano e celebrano nello "spirito tedesco" il "salvatore", la "forza redentrice" dell'Europa dalla minaccia della rivoluzione e della volgarità moderna. E' però subito da aggiungere che l'esaltata teutomania del giovane Nietzsche dilegua a partire già dal periodo "illuministico".

Lei accosta Nietzsche a Voltaire e lo allontana dal Rousseau della "natura buona". Di questo passo non si esclude totalmente Nietzsche dal suo tempo che fu romantico e non illuminista?

E' Nietzsche stesso a definire più tardi un "intermezzo" il suo periodo "illuministico". Esso trova la sua più alta espressione in Umano, troppo umano, che è dedicato per l'appunto a Voltaire. In questo libro si rimprovera a Rousseau di credere a una "miracolosa bontà originaria" dell'uomo, calpestata da ingiuste istituzioni politico-sociali, che si tratta dunque di rovesciare. C'è continuità rispetto alla Nascita della tragedia per quanto riguarda la condanna dello "spirito ottimistico della rivoluzione". La novità è che ora la credenza nella "bontà originaria" e l'ottimismo vengono bollati come espressione della "superstizione" e del "fanatismo" di cui sono affetti i "visionari politici e sociali". E' contro tutto ciò che vengono invocati i lumi di Voltaire. Il motto a lui caro (Ecrasez l'infame! Schiacciate l'infame!) deve essere reinterpretato per colpire sì il "fanatismo" della Chiesa, ma soprattutto il "fanatismo" dell'Internazionale operaia e della rivoluzione.

Non fu solo Nietzsche nella polemica contro il Cristianesimo, accusato di tendere alla soppressione della schiavitù, al livellamento socialista dell'umanità. Ma Nietzsche fu però il più tenace e convincente. O no?

Nella seconda metà dell'Ottocento, da un lato, l'esaltazione guerriera e la brutalità, che presiedono all'espansione coloniale, provocano una crisi di rigetto nei confronti di una religione avvertita e condannata come femminea e imbelle. Dall'altro, con l'emergere del socialdarwinismo e dell'eugenetica, il cristianesimo viene accusato di ostacolare o bloccare la selezione naturale, riconoscendo ai falliti e ai malriusciti un presunto diritto alla vita e persino alla procreazione. Tali motivi sono ben presenti in Nietzsche. Ma in lui c'è molto di più. Il filosofo mette in stato d'accusa la religione dominante a partire dalla denuncia del ciclo rivoluzionario. Alle spalle della rivoluzione del 1789 in Francia c'è la rivoluzione americana, con la partecipazione in primo piano di personalità e circoli ispirati dal puritanesimo: sono i discendenti della rivoluzione puritana del Seicento inglese. Ma Nietzsche non si ferma qui. Procede ancora più a ritroso e si imbatte nella Guerra dei contadini e nella Riforma protestante, e cioè in sconvolgimenti politici e sociali e rivolte servili ispirate direttamente dal cristianesimo. Ancora prima abbiamo i movimenti pauperistici medioevali che spesso agitano parole d'ordine desunte, "agitatori cristiani" che sono i "Padri della Chiesa": sì, secondo Nietzsche, nel cristiano "concetto dell'uguaglianza delle anime di fronte a Dio" è da vedere "il prototipo di tutte le teorie della parità dei diritti", quelle che poi si sono espresse politicamente nella rivoluzione francese e nel movimento socialista. Con un ultimo salto all'indietro, il filosofo collega la predicazione evangelica all'opera di sovversione di quegli "agitatori sacerdotali" che sono i profeti ebraici, animati anche loro dall'odio contro la ricchezza e il potere. E' così che la condanna della rivoluzione francese si trasforma in Nietzsche nella denuncia della rivoluzione ebraico-cristiana, di un interminabile ciclo rivoluzionario che ha preso le mosse oltre duemila anni fa.

Così parlò Zarathustra è un'opera letteraria, a differenza delle altre. Perché a un certo punto Nietzsche sente di dovere raccontare una storia per affermare delle idee? Copia da Voltaire?

La preoccupazione politico-pedagogica accompagna Nietzsche in tutto il corso della sua evoluzione. E' anche per questo che presta estrema attenzione alla forma e allo stile. Per dirla con La gaia scienza, "si presta fede a tutto ciò che è ben detto". Chi vuole agire sulla realtà non può limitarsi a fare appello alla ragione. Come chiarisce ulteriormente una lettera a Lou Salomé dell'agosto del 1882: "Quanto più astratta è la verità che si vuole insegnare, tanto più è necessario che essa seduca prima i sensi". Non si tratta di un elemento meramente esteriore: "Lo stile deve fornire la dimostrazione del fatto che si crede ai propri pensieri, che non si pensa soltanto, ma li si sente"; in questo senso, "lo stile deve vivere", deve dimostrare di esser vita. E' di qui che bisogna prendere le mosse per comprendere il genere letterario che trova espressione in Così parlò Zarathustra.

Lei definisce sin dal titolo del suo libro Nietzsche un "ribelle aristocratico". Ribelle sì, ma perché aristocratico? E' stato così diverso e superiore? Eppure, leggendo il suo libro, sembra proprio che sia stato, in tutti i campi che ha invaso, in grande compagnia.

E' lo stesso Nietzsche che per un verso si atteggia a "ribelle", per un altro verso fa professione di "radicalismo aristocratico". Com'è noto, questa espressione si deve alla penna di Georg Brandes, amico e ammiratore del filosofo che subito l'accoglie con entusiasmo. Essa sembra ben caratterizzare un atteggiamento politico che non si limita a condannare come espressioni di "decadenza" e "degenerazione" lo Stato sociale, i sindacati, la diffusione dell'istruzione, la democrazia, il regime parlamentare. Non c'è dubbio che, nell'atteggiarsi in tal modo alla fine dell'Ottocento, il filosofo è tutt'altro che isolato. Certo, Nietzsche va ancora oltre: rivendica la permanente validità dell'istituto della schiavitù quale fondamento della civiltà, agita la bandiera dell'otium et bellum, invoca l'intervento dell'eugenetica, al fine di allevare e tener ben distinte la "razza dei signori" e la "razza dei servi"…

Che significato dare all'espressione nicciana "otium et bellum"? E' corretto tradurla in quella di "guerra ed arte", come talvolta si è fatto?

Per Nietzsche non ci sono dubbi: sono le fatiche e gli stenti degli schiavi a rendere possibile la civiltà, consentendo ad una ristretta minoranza di uomini la libertà dal lavoro e dalle preoccupazioni materiali e dunque il godimento dell'otium e la promozione della cultura e dell'arte. Tale aristocrazia, di cui il radicalismo aristocratico si augura l'avvento o la riscossa, è chiamata a riaffermare la sua "distinzione", di contro alla dilagante volgarità dell'utilitarismo e del pensiero meramente calcolante, agitando la bandiera dell'otium et bellum. Assai caro al nostro filosofo, tale motto descrive e trasfigura le condizioni di vita e i valori dell'aristocrazia europea della seconda metà dell'Ottocento. Mentre fonda la sua ricchezza e il suo splendore sul possesso della terra, coltivata da una popolazione agricola su cui pesa ancora il retaggio feudale, la nobiltà occupa per tradizione gli alti gradi dell'apparato militare. Il rapporto signore-servo si riproduce nell'esercito come rapporto ufficiale/soldati; il beneficiario dell'otium è al tempo stesso il protagonista del bellum, così come a sopportare e ad aborrire il peso dell'otium e del bellum è la massa dei servi o dei figli di servi.
Naturalmente, proprio perché unifica l'aristocrazia europea nel suo complesso e ha di mira in primo luogo il confitto sociale interno, la parola d'ordine dell'otium et bellum è tutt'altro che sinonimo di agitazione sciovinistica intra-europea. Ciò vale per l'Antico regime che sussiste fino allo scoppio della prima guerra mondiale così come vale per Nietzsche: l'aristocrazia riafferma la sua egemonia e la sua "distinzione" impegnandosi in guerre che hanno come bersaglio la plebaglia socialista nella metropoli capitalistica e la marmaglia dei barbari nelle colonie. Alcuni decenni più tardi, in Germania, Langbehn chiama "guerra e arte" a contrastare la deriva dell'involgarimento plebeo e democratico. Ad esprimersi così è un autore che si considera "discepolo" di Nietzsche. In effetti, la parola d'ordine appena vista riecheggia il motto otium et bellum, dove l'otium è la condizione indispensabile per il prodursi della civiltà e, in primo luogo, dell'arte. Lo dimostra in particolare l'esempio della Grecia. E alla Grecia sulla scia del suo Maestro, fa riferimento anche Langbehn: ""guerra e arte" è una parola d'ordine greca, tedesca, ariana".

Se l'eugenetica promana anche da Nietzsche, Nietzsche è da considerare davvero il precursore del nazismo e della pulizia razziale.

Indubbia è l'influenza che l'eugenetica esercita su Nietzsche, che, al fine di evitare la formazione di una"razza della delinquenza", invoca la "castrazione" dei soggetti che potrebbero alimentarla. Né il filosofo si ferma qui. Egli non solo irride "il divieto biblico "non uccidere"" ma giunge ad enunciare un programma estremamente radicale: "Annientamento di milioni di malriusciti", "annientamento delle razze decadenti", s'impone "un martello con cui frantumare le razze in via di degenerazione e morenti, con cui toglierle di mezzo per aprire la strada a un nuovo ordine vitale". E, tuttavia, sarebbe precipitoso leggere queste prese di posizione come una diretta anticipazione del nazismo. Non bisogna dimenticare che l'eugenetica è stata inventata in Inghilterra da Galton, cugino di Darwin, e ha subito riscosso grande successo negli Stati Uniti. D'altro canto, l'"annientamento delle razze decadenti" è una pratica in atto nella seconda metà dell'Ottocento (si pensi alla cancellazione dalla faccia della terra dei pellerossa negli Stati Uniti e degli "indigeni" in Australia e nell'Africa del Sud); e questa pratica è così largamente accettata e condivisa che ad essa non hanno nulla da obiettare neppure autori che si dichiarano liberali (Burckhardt, Renan ecc). Certo, è a partire da questo contesto ideologico e politico che bisogna prendere le mosse per comprendere poi la genesi dell'ideologia nazista; ma questa vicenda va al di là non solo di Nietzsche ma anche della Germania nel suo complesso.

Per un altro verso Nietzsche smaschera l'ipocrisia delle grandi potenze coloniali

Nietzsche sottolinea la necessità della schiavitù negli anni in cui le grandi potenze impegnate nell'espansione coloniale agitano la bandiera dell'abolizionismo e dell'universalismo umanitario. Bismarck così si rivolge ai suoi collaboratori: "Non sarebbe possibile reperire dettagli raccapriccianti su episodi di crudeltà?" Sull'onda dell'indignazione morale da essi suscitata sarebbe stato poi agevole bandire la crociata contro l'Islam schiavista. Si potrebbe commentare con Al di là del bene e del male: "Nessuno mente tanto quanto l'indignato". Una critica della "guerra umanitaria" e dell'"imperialismo dei diritti umani" non può prescindere dalla lezione di Nietzsche.

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