La Rinascita della sinistra

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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La Rinascita della sinistra, 21 febbraio 2003

Il libro di Domenico Losurdo sul filosofo tedesco
Nietzsche, il ribelle aristocratico
Scrittore "inattuale", politico reazionario

di Ugo Dotti

Nel 1871 Friedrich Nietzsche, allora giovane filosofo classico, pubblicava quel libro che doveva provocare l'aspra reazione di Ulrich Wilamovitz, il più accreditato grecista del tempo, vale a dire La nascita della tragedia. In apparenza l'opera si presentava come una forte innovazione, quasi un rovesciamento della tradizionale interpretazione del mondo greco; in realtà si poneva come l'esordio di una lettura filosofica della realtà e della storia dell'Occidente destinata ad arricchirsi sempre più con gli anni, a drammatizzarsi e problematizzarsi al punto che ancor oggi, ad evocarne i temi, è quasi impossibile sfuggire a polemiche molto dure. Basti per questo pensare a ciò che ebbe a dire un ammiratore del pensiero nietzschiano, Georges Bataille, e cioè che, "mancando il vissuto di questa smagliante dissoluzione della totalità, tale vissuto è soltanto un dedalo di contraddizioni o, peggio ancora, un pretesto a menzogne per omissione, se, come i fascisti, si isolano passi, per fini che il resto dell'opera nega".
La lunga storia delle interpretazioni di Nietzsche ci dice dunque che il filosofo è stato preso sul serio almeno su questo punto: che non esistono "fatti" ma solo "interpretazioni". Tale era comunque, inevitabilmente, il destino di un pensatore che, rifiutando ogni sistematicità (ogni sistema è menzogna) ed ogni univocità metodologica ha finito per esprimersi sempre più per metafore, aforismi, immagini poetiche, enfasi profetica. E se tra le due vie indicate da Bataille - l'immergersi in quel vissuto oppure percorrere il dedalo delle contraddizioni che consente molte scelte - si opta per la seconda (che Bataille rifiuta), ecco che diviene obbligatorio cercare, al di là appunto delle contraddizioni, tanto il filo conduttore quanto il preciso significato di questa certo non facile filosofia. Per molti, oltre che per Bataille, questa ricerca è stata intesa come un tradimento; per altri è stata ritenuta un compito necessario se si vuole davvero restituire a Nietzsche ciò che è suo, tanto più che il filosofo tedesco non scrisse solo per suscitare delle suggestioni od emozioni estetiche, sibbene per manifestare una precisa e dichiarata scelta ideologica.
Ricordare il significato politico del pensiero nietzschiano è un inevitabile richiamare la classica lettura che Gyorgy Lukacs ne ha dato nel suo celebre La distruzione della ragione e porre in questione se essa sia ancor oggi accettabile e significativa. Il recente, monumentale lavoro pubblicato da Domenico Losurdo presso la Bollati-Boringhieri (Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico pp. 1167, euro 68) si misura appunto con queste domande e, mediante una vasta ricostruzione di tutto il pensiero di Nietzsche in stretto rapporto con gli eventi storici del tempo e i dibattiti via via sollevati, approda a un nuovo bilancio. Un bilancio - diciamo subito - che ha già sollevato vibranti discussioni ed ha avuto un'accoglienza non favorevole, stanti ovviamente gli attuali prevalenti orientamenti della critica che tendono - e c'era da dubitarne? - a restituire a Nietzsche quell'"innocenza" che Lukacs gli negava. Ma vediamo meglio.
Senza entrare in troppe polemiche e, soprattutto, in quei loro aspetti particolari legati a scelte dei traduttori italiani o all'importanza da dare a scritti minori (lettere, note private, ecc.), non si può anzitutto non riconoscere l'ampiezza e la solidità di documentazione di cui Losurdo si avvale per districare il "dedalo delle contraddizioni" e dimostrarne la sostanziale non-contraddittorietà. Apprezzata la forza di un'indagine critica teoreticamente lucida e profonda, apprezzati il fascino di una scrittura smagliante e il coraggio di una radicalità senza compromessi - qualità peraltro già da Lukacs riconosciute - il bilancio di Losurdo ci riconduce a un Nietzsche politico, e politico reazionario ("ribelle aristocratico", come recita il titolo). Si tratta allora di un ritorno a Lukacs dopo le letture estetizzanti che hanno contrabbandato per metafore esplicite posizioni ideologiche o hanno tentato di edulcorare la valenza di espressioni invero assai brutali? Sì e no, dal momento che se l'interpretazione del filosofo ungherese viene per qualche aspetto ripresa, per altri viene completata e corretta. Ciò vale particolarmente per quanto attiene all'annosa questione del rapporto tra nietzschianesimo e ideologi del nazismo (i quali, fuor di dubbio e non a caso, al patrimonio del pensiero del filosofo tedesco hanno cospicuamente attinto), ma che è pure un rapporto non così diretto come sovente si è pensato. Secondo Losurdo si tratta infatti di confrontare l'evoluzione del pensiero di Nietzsche con gli eventi della sua epoca, ossia con la guerra franco-prussiana, la Comune di Parigi e il ricordo della grande evoluzione, la nuova Germania, la politica di Bismarck e la presenza della socialdemocrazia, la guerra di secessione americana con tutto il seguito di dibattiti e di elaborazioni teoriche che questi eventi via via sollevarono. E se il linguaggio di Nietzsche non si richiama direttamente ai fatti, ed anzi il filosofo rivendica orgogliosamente la propria "inattualità", pure questo avviene per una scelta - una scelta appunto "aristocratica" - per la pretesa, e la consapevolezza, di porsi a un livello più alto di quello rappresentato dalla meschinità e banalità delle discussioni politiche strettamente congiunte alla contingenza degli eventi. E tale pretesa inattualità - come già ci ricordava Karl Loewith - esprimeva l'ambizione di parlare al di fuori e al di sopra del tempo.
E' di qui, pertanto, che hanno potuto prendere le mosse quelle interpretazioni meramente filosofiche che hanno finito per liberare certe espressioni di Nietzsche da quello che era invece un loro preciso e assai cinico significato: per esempio quelle relative al valore dello schiavismo. Sennonché - avverte Losurdo - diversa e tutt'altro che trascurabile è l'interpretazione di molti storici e sociologi abituati a misurarsi con la concretezza della storia: storici e sociologi, pertanto, che ci restituiscono, fatte le debite distinzioni e precisazioni, l'attualità delle presunte inattualità del filosofo tedesco. Attualità non rispetto a noi o a una leggendaria Grecia presocratica ancora immune dalla malattia dell'uomo occidentale, ma rispetto al proprio tempo, che fu il tempo dell'imperialismo e del colonialismo, del darwinismo e della crescita nelle società europee di quelle istanze democratiche e socialistiche con le quali gli Stati dovevano fare, e facevano, i conti in modi diversi.
Rispetto agli eventi e al clima sopra ricordati, il pensiero di Nietzsche acquista una connotazione chiara e precisa, una connotazione che non riguarda soltanto la storia della Germania come hanno inteso Lukacs e Thomas Mann - se è vero, come sosteneva Hans Mayer, che il musicista protagonista del Doctor Faustus non è altro che la trasfigurazione letteraria del filosofo tedesco. Alla luce infatti di un vasto confronto con lo scenario storico, ecco che i noti temi nietzschiani della volontà di potenza e del "superuomo" compaiono come i coerenti esiti di una critica costantemente condotta contro tutto il percorso storico, dal socratismo al socialismo: e il sinistro significato di tali temi non è più - come si è cercato di contrabbandare - il frutto della malvagia manipolazione che degli ultimi scritti di Friedrich avrebbe compiuto la sorella. In breve: il sistematico attacco, in tutta l'opera di Nietzsche, portato contro qualsiasi egualitarismo universalistico - un ideale da perseguire concretamente come conquista di diritti sociali e civili - non può che culminare in quel termine di Übermensch che è quanto meno inutile mitigare, come ci si prova Gianni Vattimo, con la traduzione di "oltreuomo".

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