Bollettino della Società Filosofica Italiana

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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“Bollettino della Società Filosofica Italiana”,
gennaio-aprile 2003, pp. 98-100.

Domenico Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Bollati Boringhieri, Torino 2002.

di Domenico di Iasio

Non credo che Domenico Losurdo, in questo suo ultimo lavoro, abbia voluto riprendere l’interpretazione lukácsiana che punta essenzialmente a fare di Nietzsche un precursore dell’hitlerismo. Scriveva Lukács:«Nietzsche precorre in modo quanto mai concreto tanto il fascismo di Hitler quanto l’ideologia morale del “secolo americano”[…] è un “profeta” della barbarie imperialistica […] [ha] precorso col pensiero non solo l’imperialismo, ma insieme con esso anche il fascismo» (György Lukács, Die Zerstörung der Vernunft –1954-, tr. it. di Eraldo Arnaud, La distruzione della ragione, Einaudi Editore, 1974, pp. 355 e 375). Subito dopo, l’edizione critica adelphiana curata da Colli-Montinari ha criticato tale interpretazione attribuendo, più che a Nietzsche, alla sorella Elisabeth e al discepolo di Nietzsche, Peter Gast, la manipolazione del testo nel senso della sua nazificazione. In Italia il Nietzsche di Colli-Montinari ha successivamente fatto testo. Ne è prova, ad esempio, la seguente dichiarazione di Lucio Colletti:«Certo, l’opera di Colli e Montanari, prima dell’intervento di Vattimo dagli anni Sessanta in poi, ha avuto il pregio di sgomberare il campo dalle accuse di complicità nietzschiane con il nazionalsocialismo. Nietzsche è stato liberato dall’ingiuria di essere considerato un antesignano di Hitler, del pangermanesimo, dell’antisemitismo» (Intervista di Dario Fertilio a Lucio Colletti in «Corriere della Sera» del 24 agosto 2000, p. 29). Il problema ermeneutico di Losurdo non è, mi sembra, quello di nazificare o denazificare Nietzsche, invece è tutto nel dimostrare che il sistema di pensiero nietzschiano è, come dire, una derivata del sistema di pensiero contemporaneo, che non ci sarebbe nessuna eccedenza teorica rispetto al tempo storico in cui si svolge l’attività intellettuale del filosofo, nessuna “profezia”. Nietzsche non è inattuale, bensì è figlio del suo tempo, della storia del suo tempo e mai, forse, come in questo caso, la filosofia è hegelianamente il proprio tempo appreso nel pensiero. Pare, dunque, che il libro di Losurdo si disponga su un duplice ordine di critica: da un lato contro Lukács e dall’altro contro Colli-Montinari. Contro il primo perché, ribadiamo, Nietzsche non è ritenuto precursore o “profeta” di nulla, ma un elaboratore del suo tempo. D’altra parte, il filosofo ungherese manipola categorie, come ad esempio la decadenza ideologia della borghesia e l’inarrestabile avanzata della rivoluzione socialista, che sono totalmente estranee al lavoro di Losurdo. Contro l’edizione critica Colli-Montinari perché tale edizione avrebbe attivato un’operazione culturale di emendamento di Nietzsche dalla quale questo filosofo risulta come innocente, al di fuori del suo tempo storico, come sospeso in aria, al di là e al di sopra degli acuti conflitti storici del suo tempo. Il metodo Colli-Montinari «rinvia costantemente alla preoccupazione di rimuovere, come un elemento allotrio e di disturbo, il mondo storico e politico» (p. 1078), precisa Losurdo nell’«Appendice» che riproduce il saggio pubblicato su «Belfagor» (n. 5- 30 settembre 2002) alla vigilia della pubblicazione del libro. Se Lukács incrosta Nietzsche di fascismo, nazismo e imperialismo, viceversa Colli-Montinari lo purificano, immergendo il filosofo in un’atmosfera celestiale di purezza incontaminata. Afferma Colli:«Bisogna ascoltare N[ietzsche] come si ascolta la musica» ( «Appendice», p. 1076). È questa lettura musicale che Losurdo critica e, in alternativa, propone una lettura storico-politica di scrupolosa contestualizzazione del testo.
Qualche esempio. Uno dei bersagli principali di Nietzsche è il concetto universale di uomo che inizia nel mondo moderno il suo cammino con il cogito ergo sum di Descartes e con l’io-penso kantiano. Afferma Losurdo:«Nel chiamare in causa l’”io penso” come momento essenziale della preparazione ideologica della Rivoluzione francese, Nietzsche, ancora una volta, non è isolato. Un autore a lui noto e anche caro, e cioè Lichtenberg, indica nella “filosofia” e nel cogito ergo sum il presupposto del successivo “echeggiare del grido à la Bastille!”. D’altro canto, era stata la stessa Convenzione nazionale, il 2 ottobre 1793, a decidere il trasferimento al Pantheon delle ceneri di Descartes» (p. 717). Georg Christoph Lichtenberg risulta, dunque, uno dei principali ispiratori della critica nietzschiana del soggetto pensante e della Rivoluzione francese, una critica, quindi, che non è aleatoria, non nasce dal nulla, ma da idee e atteggiamenti intellettuali già presenti nella contemporaneità nietzschiana. Ancora: «Impegnandosi nella decostruzione del soggetto, Nietzsche riprende in ultima analisi il programma di Maistre» (p. 716), che definisce un errore di teoria la Dichiarazione dell’89 e dichiara nelle sue Considérations sur la France (1796) che l’uomo universale non esiste nel mondo e che, pertanto, non esiste il punto centrale, la leva che dovrebbe sorreggere l’apparato dei diritti universali dell’uomo. Una critica supportata da Burke:«Forse non è del tutto ignoto a Nietzsche questo autore, che in Germania gode subito di una straordinaria fortuna, in particolare nell’ambito della cultura romantica» (p. 80). La critica nietzschiana della rivoluzione francese non può, dunque, che annidarsi, secondo Losurdo, nella critica di questi grandi antagonisti che poi influenzano la cultura romantica. Nietzsche non esce dal suo tempo, dalla sua attualità, vi rimane dentro e sviluppa temi congeniali al suo atteggiamento intellettuale che è intrinsecamente anti-rivoluzionario: si scaglia contro tutte le rivoluzioni che si sono coagulate nella storia attorno alla categoria di uguaglianza, a cominciare dal Cristianesimo, dall’Ebraismo per finire alla Rivoluzione francese, alla guerra di Secessione (1861-65) per l’abolizionismo e alla Comune di Parigi.
Gli uomini in Nietzsche sono naturalmente disuguali, profondamente divisi tra servi e signori, tra malriusciti e benriusciti. Il filosofo, sottolinea Losurdo, accarezza sogni eugenetici per la selezione dei migliori e così si esprime in Così parlò Zarathustra:«piena è la terra di superflui, corrotta è la vita a causa dei troppi; si potesse attrarli fuori da questa vita allettandoli con la “vita eterna”» (p. 637). Anche qui, l’eugenetica non è inventata da Nietzsche, ma è già presente nel suo tempo. È un atteggiamento, sottolinea Losurdo, di Galton, cugino di Darwin, di Lombroso, Le Bon, Carlyle, Karl Pearson, Emerson e tanti altri (pp.753-7), un atteggiamento che si ispira al «modello ellenico» (p.636), soprattutto quello platonico, per la selezione della razza dei governanti. E nei contemporanei di Nietzsche il modello eugenetico «confina pericolosamente col genocidio vero e proprio», quando si scarica sulle «popolazioni coloniali superflue» (p.754). Dunque, espressioni come «annientamento dei malriusciti» (Vernichtung der Mißrathenen) o «annientamento delle razze decadenti» (Vernichtung der verfallenden Rassen), che si ritrovano nei Frammenti postumi 1884-85, sono spie di eventi tragici che si consumavano già dall’alba del mondo moderno a carico delle popolazioni coloniali. Naturalmente, avverte Losurdo, «non mancano voci critiche e persino indignate tra i contemporanei di Nietzsche», come Albert Friedrich Lange, «un autore a lui noto (e vicino alla socialdemocrazia)», che nel 1865 «richiama l’attenzione sullo “sterminio” degli indigeni, in atto negli Stati Uniti, in Australia e in altre parti del mondo, nonché sulle crudeltà di ogni genere inflitte dai conquistatori europei ai popoli assoggettati» (p. 756). Nietzsche, evidentemente, non ascolta queste voci critiche, bensì le voci che provengono dalla parte opposta come quella, oltre alle già citate, di Joseph Ernest Renan che, «pur considerandosi liberale […] non ha dubbi sul fatto che le “razze semiselvagge”, estranee alla “grande famiglia ariano-semitica”, sono destinate ad essere assoggettate o sterminate» (p. 756).
La voce di Nietzsche è la voce della disuguaglianza naturalizzata, inestinguibile, di una gerarchia dalla quale gli assoggettati non possono emergere perché naturalmente inferiori. Riecheggia quella antica di Callicle che, nel Gorgia platonico, afferma: «La natura stessa, a mio parere, ci mostra che è giusto che chi vale di più abbia la meglio su chi vale di meno e che chi è più forte prevalga su chi è più debole. Essa ci mostra che è così in molti casi, sia fra gli animali, sia fra gli uomini» (p. 469). Una voce di tipo socialdarwinistico, questa di Callicle, ripresa nel mondo moderno da Haller contro cui polemizza Hegel che, al contrario, si batte per la fuoriuscita dal mondo naturale e dalla legge del più forte che vi domina (Ib.). Nietzsche, il ribelle aristocratico, è il difensore di tale legge, di una gerarchia naturale insopprimibile, l’educatore, se vogliamo, del tipo nuovo di uomo, del superuomo, dell’uomo aristocratico, che deve essere collocato al vertice della nuova piramide sociale, una piramide che le rivoluzioni moderne e tutti i movimenti egualitaristici, come il Cristianesimo-Ebraismo («”il cristiano […] combatte sempre per “diritti eguali”», p. 989), intendono rovesciare contro la legge di natura. L’Ebraismo è assimilato tanto al Cristianesimo quanto al socialismo e tutti hanno una comune origine in Socrate, un intellettuale sovversivo che ha funestamente iniziato il ciclo bimillenario delle rivoluzioni occidentali o di un’unica grande rivoluzione che ruota attorno alla categoria di uguaglianza:«Socrate, questo roturier, che fa della dialettica una micidiale arma di lotta e di vendetta contro l’aristocrazia» (p. 606). L’altro intellettuale sovversivo per eccellenza è Paolo di Tarso «nel quale trovano espressione “l’istinto sacerdotale degli ebrei”»(Ib.). E ancora: «”L’ebreo è dialettico e anche Socrate lo era. Si ha in mano uno strumento terribile: si confuta l’avversario compromettendo l’intelletto”» (Ib.).
Nietzsche, conclude Losurdo, non rappresenta la fine delle grandi narrazioni, se mai sostituisce alle grandi narrazioni tradizionali, che radicalmente critica, una sua metanarrazione, un suo progetto politico:«Non si comprende perché il rinvio alla grande “economia del Tutto” ovvero alla “vita”, alla “legge suprema della vita”, all’”avvenire” di questa unità cosmica che è il mondo debba essere una spiegazione meno totalizzante di quella che rinvia al progresso dell’umanità. La lettura postmoderna di Nietzsche non conduce da nessuna parte» (p. 1065). È vero che «ai suoi occhi non ha senso parlare di progresso storico: l’umanità non ha fini comuni, “non progredisce, non esiste neppure”» (p. 1064). Il suo progetto politico è proprio in questo, nel blocco del processo storico, avviluppato in un processo rotatorio che gira eternamente su se stesso, nell’ideazione di un «nuovo illuminismo» inteso come «preparazione ad una filosofia dell’eterno ritorno» (p. 503), che combatta «la superstizione messianica e rivoluzionaria, liquidando la visione unilineare del tempo che è a suo fondamento» (Ib.). In questa titanica lotta contro il progresso si schiude la «grande economia del Tutto», dove non può che avere spazio la natura nel suo complesso e l’ordine sociale da essa forgiato, un ordine biologico, come quello degli animali, in cui prevale sempre ed è giusto che prevalga sul più debole il più forte, il genio del dominio, il superuomo.

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