Critica marxista

Domenico Losurdo

 

Il libro di Domenico Losurdo ha suscitato un acceso dibattito sulla stampa ed è già un caso editoriale. Filosofia.it vi propone un resoconto completo degli articoli che si sono occupati del volume.


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Critica marxista, numero 3/4 del 2003

Luce su Nietzsche

di Paolo Ercolani

Hegel e Marx avevano coniato la metafora della «notte in cui tutte le vacche sono nere» per significare, rispettivamente, una speculazione incapace di cogliere la contraddittorietà e complessità del reale, così come un giudizio politico che, astraendo dai dati storici concreti e determinati, facesse di tutta l’erba un fascio. Questo è il rischio serissimo che corre chi si impegna nella lettura di Nietzsche, geniale filosofo dalla prosa accattivante, coinvolgente, fortemente metaforica, così complesso ma anche contraddittorio da aver, rispetto a molte questioni, detto tutto e il contrario, nel corso della sua travagliata evoluzione (o involuzione). Non si spiegano altrimenti le diversissime interpretazioni, tutte parziali, figlie in forma diversa della suddetta notte delle vacche nere, per cui la realtà viene vista in maniera indifferenziata pur di farla convenire alla tesi da cui l’esegeta è partito . L’equazione Nietzsche uguale nazismo da una parte, frutto di una miserevole operazione della sorella del grande filosofo per compiacere il Reich, ma anche del Lukács de La distruzione della ragione (1954), poco attento al contesto storico-sociale e appiattito su una tesi predeterminata, dall’altra la lettura metaforica e politicamente innocentista, quella dei vari Bataille, Deleuze, Vattimo, gli stessi Colli e Montinari (pionieri della cura delle opere complete del filosofo e coautori della traduzione italiana), fino ad arrivare al nietzscheanesimo di una certa sinistra affascinata dalla fine del moderno e dalla presunta de-costruzione del soggetto (Cacciari e Negri). Un Nietzsche buono per tutti, un Nietzsche criticabile da tutti. Un grandissimo filosofo che ha vissuto una fase giovanile di amore per la Grecia antica e presocratica, ma anche un pensatore che ha vissuto la fase illuminista, fino ad arrivare all’ultima, caratterizzata dall’innocenza del divenire e dall’amor fati. Un percorso lungo e complesso, la strutturazione sempre aforistica delle sue opere, la frammentarietà conseguente di un filosofo manifestamente a-sistematico. Un ginepraio complesso, in cui ci si può perdere, magari decidendo di concentrare i propri studi su altro, o da cui si può uscire semplificando l’oggetto di studio (Nietzsche uguale nazismo oppure Nietzsche filosofo del divenire, dell’eterno ritorno, estraneo alla politica). Oppure si può decidere di calarsi nella complessità del filosofo, analizzandone il contesto storico, cercando faticosamente i punti di contatto tra le varie fasi del suo pensiero apparentemente contraddittorie. E’ quello che ha fatto Domenico Losurdo (Nietzsche, il ribelle aristocratico. Biografia intellettuale e bilancio critico, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, pp. 1167), in uno studio imponente, faticoso, illuminante e articolatamente perspicuo rispetto alla notevole complessità dell’oggetto studiato. Losurdo, ripercorrendo le fasi del pensiero di Nietzsche, analizza, servendosi di un’imponente mole di materiali e di riferimenti, il contesto storico, i personaggi che hanno influenzato di volta in volta il filosofo tedesco, la struttura complessa dell’opera nietzscheana. Ecco allora che il Nietzsche giovane o «metafisico» (la cui opera paradigmatica è La nascita della tragedia del 1872), viene visto anzitutto come il denunciatore della hybris della ragione, critico acerrimo di Socrate, Platone e della filosofia razionalistica; mentre il Nietzsche «illuminista» (l’opera simbolo di questo periodo è Umano, troppo umano del 1878-1880) è in realtà un propugnatore dell’ “illuminismo aristocratico” (quello di Voltaire ma non di Rousseau), nella sua forza distruttiva della trascendenza e del cristianesimo ma anche e soprattutto nello smascheramento dell’illusione rivoluzionaria e dell’inanità di ogni riforma sociale rivolta alle grandi masse; infine il Nietzsche «immoralista», quello dell’ultima fase, viene «smascherato» da Losurdo come il filosofo del «radicalismo aristocratico», per il quale l’ «innocenza del divenire» significa in realtà l’accettazione della divisione degli uomini in «malriusciti» e «benriusciti», con tutto ciò che ne consegue (compresa la teorizzazione esplicita della schiavitù, vero continuum all’interno dell’evoluzione del pensatore tedesco). Quindi, tira le somme Losurdo, «Il filo conduttore, l’elemento di continuità è rappresentato dalla critica, anzi dalla denuncia appassionata della rivoluzione e dei pericoli mortali che essa fa pesare sulla civiltà» (p. 366). Laddove la rivoluzione non è per forza un locus storico determinato, ma è rappresentato, nel corso dell’evoluzione dell’umanità, da tutte quelle tappe che hanno innalzato l’universalità della ragione rispetto all’aristocrazia della natura (Socrate), la centralità dell’uomo rispetto all’aristocrazia dell’istituzione ecclesiastica (Lutero), l’uguaglianza soltanto ideale o anche materiale degli uomini (Gesù e Rousseau) rispetto alle discriminazioni razziali, sessuali, censitarie etc., tipiche della storia dell’umanità senza distinzioni di civiltà. I «quattro grandi democratici» (Socrate, Cristo, Lutero e Rousseau) sono fra i «nemici» storici di Nietzsche, così come lo sono il socialismo e il liberalismo, ma per motivi assai differenti. Losurdo, che è anzitutto un grande conoscitore della tradizione liberale, riesce a distinguere con grande chiarezza la posizione politica del liberalismo, della tradizione democratico-socialista e di Nietzsche. Il liberalismo (Losurdo analizza Tocqueville, Mill, Constant, Emerson ed altri) ha teorizzato da una parte la libertà individuale, salvo poi, a conti fatti, convivere con «clausole di esclusione» da questa libertà che hanno colpito, nel tempo, gli indios, i neri, le donne, i popoli colonizzati, le classi proletarie etc.. La tradizione democratico-socialista ha messo in evidenza queste contraddizioni, lottando storicamente per l’estensione dei diritti di libertà e di uguaglianza sostanziale fra tutti gli uomini, all’interno innanzitutto della tradizione liberale stessa. Nietzsche, secondo Losurdo, è assai meno contraddittorio rispetto al liberalismo e al cristianesimo stessi (che predicano in un modo salvo aver convissuto con delle negazioni storiche delle predicazioni stesse): egli teorizza espressamente la schiavitù, parla di «eliminazione dei malriusciti», sostiene che se si vogliono degli schiavi è «stupido educarli da padroni» (Nietzsche era contrario all’istruzione pubblica aperta a tutti, sinonimo di «comunismo»). Questo non vuol dire, come qualcuno ha scritto, che Losurdo mette sullo stesso piano Nietzsche e il pensiero liberale, ma soltanto che, per parafrasare Marx, mentre il socialismo critica l’ideologia liberale per «strappare dalla catena i fiori immaginari» (l’uguaglianza soltanto teorizzata), Nietzsche critica il liberalismo (e il cristianesimo) «perché l’uomo porti la catena senza abbellimenti e consolazioni» (magari di una giustizia nell’altro mondo), perché questo vuole la «natura», questo vuole la «vita», perché accettare la vita vuol dire per Nietzsche accettare l’innocenza del divenire nel suo metterci di fronte a malriusciti e benriusciti, a creature superiori e inferiori, classi aristocratiche e classi plebee.
Già Ricoeur aveva colto la forza demistificatrice del Nietzsche «maestro del sospetto» (De l’interprétation, 1965), così come B. Russel era andato oltre la superficie mistica del pensiero nietzscheano, cogliendone i nessi che avrebbero costituito quel «clima» irrazionalista favorevole alla caduta nella catastrofe nazista (cfr. il capitolo su Nietzsche della sua History of the Western Philosophy). Losurdo si spinge molto più in là. La sua è una ricostruzione storica, filologica e filosofica al tempo stesso. Un lavoro imponente e complesso che getta luce sulla notte in cui tutte le vacche, altrimenti, sembrerebbero tutte nere. E tutte innocenti.

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