I neocon contro il libero mercato
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Micromega/Filosofia.it Nel 2000 ho passato buona parte della fine dell’estate intervistando William F. Buckley e Irving Kristol. Stavo scrivendo un articolo sulle defezioni di molti giovani intellettuali di destra alla sinistra e volevo sapere che cosa pensassero dei loro «figli» ribelli i padri fondatori del movimento. Nel corso della conversazione, però, divenne chiaro che Buckley e Kristol erano meno interessati a questi ex conservatori che allo stato penoso del movimento conservatore e all’incerto destino degli Stati Uniti come potere imperiale globale. Dall’altra parte abbiamo una nuova classe di élite politiche, che hanno poco contatto con la comunità degli affari e la cui esperienza primaria al di fuori del governo è avvenuta all’università, nel giornalismo, nelle think tanks, o in qualche altro settore dell’industria culturale. Come le élite imprenditoriali guardano a una economia sempre più globale, i neocon hanno ottenuto, a quanto pare, il libero controllo di tutta la baracca. Commerciano con le idee e vedono il mondo come un vasto schermo per proiezioni intellettuali. Non vincolati neppure dal più interessato degli interessi, sono liberi di portare avanti la loro causa, nel Medio Oriente e altrove. In realtà, secondo resoconti della stampa, la maggior parte delle élite delle grandi corporations industriali negli Stati Uniti e altrove, persino nel settore petrolifero, non era interessata o era fermamente contraria alla spedizione in Iraq voluta dall’amministrazione Bush. Come le loro controparti aziendali, i neocon considerano il mondo come il loro palcoscenico, ma, al contrario delle prime, stanno costruendo un palcoscenico per un dramma più teatrale e ultramondano. Il loro finale di partita, se ne hanno in mente uno, è costituito da un confronto apocalittico tra bene e male, civilizzazione e barbarie – categorie di conflitto pagano diametralmente opposte alla visione di un mondo senza confini dell’élite americana interessata alla globalizzazione e al libero mercato. (traduzione di Sara Fortuna) |
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