Intervista a Elio Matassi

Günther Anders e Hannah Arendt

Günther Anders e Hannah Arendt


Intervista a Elio Matassi su

Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilità

di Micaela Latini

 

 

1 -  Professor Matassi, nel corso degli ultimi anni il pensiero di Günther Anders, che è sempre stato collocato ai margini del dibattito filosofico, sta conoscendo un momento di grande fortuna. Il merito di tale riscoperta va alla operazione editoriale di Bollati-Boringhieri, che dopo aver ripubblicato i due volumi dell'Uomo è antiquato, ha recentemente immesso sul mercato la traduzione italiana di Amare, ieri. Appunti sulla storia della sensibilità. Quale è lo sfondo teorico sul quale si muovono le riflessioni contenute in queste preziose pagine di diario?


Amare ieri. Appunti sulla storia della sensibilità, raccolti negli anni 1967-69 sono un esempio, molto calzante, di quella forma di "filosofia d'occasione" coltivata dallo stesso Anders per sottolineare il carattere non-sistematico, eminentemente saggistico della sua ricerca filosofica. Un saggismo che desume i suoi 'pre-testi' dalle occasioni più differenziate, dal modificarsi della sfera sentimentale-emozionale in un mondo che ha ormai perduto i consueti punti di riferimento, ed ancora dalle esperienze più strettamente estetiche - letteratura e musica sono in questo caso mediazioni obbligate per la forma mentis di Anders-; l'esilio americano, il confronto con la società americana costituiscono per Anders l'occasione, il pre-testo filosofico per eccellenza per riflettere sul significato complessivo dell'industria culturale ed i suoi idola. In un'epoca e in una società contrassegnata dalla tecnica e dal suo linguaggio più conseguente - quello pubblicitario - il risultato più trasparente sta nell'incapacità di poter esprimere una dimensione 'assoluta', "superlativa" con la terminologia adottata da Anders. Abituati a convivere in un mondo dominato dal linguaggio menzognero della pubblicità, un registro del linguaggio totalmente indifferente alla verità, ricusiamo nei fatti ogni espressione "superlativa", accettando implicitamente solo quella comparativa, comparativistica nell'esclusivo interesse di un progresso interpretato alla sola stregua della concorrenza. Anders parla a tal proposito di 'trionfo del comparativo': se il fine che ci si propone è solo quello di essere migliori in quanto tali, poiché il fine sta nel superamento stesso, nel superare la concorrenza, allora non sussisteranno più livelli ottimali, superlativi, o, ancora meglio, avremo un abbassamento, una riduzione del superlativo al comparativo. Raggiungere o solo riconoscere anche un unico 'superlativo' equivale di fatto ad accettare anche la fine della competizione, ipotesi impraticabile, perché la sua fine coinciderebbe con la fine stessa. La competizione deve dunque rimanere immortale per continuare a garantire, in questa logica perversa e capovolta di filosofia della storia e di filosofia morale, uno spazio, lo spazio del futuro. Anche l'interpretazione del tempo finisce con l'essere condizionata dalla stessa nefasta argomentazione. L'indispensabilità del trionfo del comparativo sul superlativo, o, meglio ancora, l'abolizione stessa del superlativo contemplano come automatismo la ricusazione di un paradigma temporale scandito dall'immobilità, dall'atemporalità. Anzi, avendo perduto per sempre la possibilità di poter immaginare un nunc stans o, come gli antichi greci, un tempo ciclico, lo sentiremmo esclusivamente come quintessenza della negatività, come se al limite, accettandolo, finissimo con il morire o con il non esserci affatto. Gli appunti di Amare ieri sono dominati dal tema dell'esilio e dal confronto con una realtà come quella della società di massa americana.


2- Molti sono i fili sotterranei che attraversano la riflessione di Anders sulle emozioni. Un'assonanza che salta subito agli occhi sfogliando le pagine del diario è quella con Benjamin e con Bloch, autori a Lei molto cari, e pensatori che si muovono nella stessa prospettiva messianica di Anders. Vuole evidenziare gli aspetti di convergenza?

E. Bloch, W. Benjamin. G. Anders condividono sin dagli anni venti e trenta un progetto comune, quello che definiscono in senso lato, filosofia dell'ascolto, come incontro-confronto fra due contingenze da assumersi in tutta la loro irriducibile alterità. Una filosofia dell'ascolto che è, ovviamente in maniera sotterranea congiunta con la musica, il linguaggio dell'ascolto in maniera eminente. Nell'importante manoscritto del 1930, Ricerche filosofiche sulle situazioni musicali, Anders stabilisce una strettissima compenetrazione fra filosofia ed antropologia della musica: non può sussistere la prima se non inverandosi nella seconda. Tale interpretazione della musica e dell'ascolto richiama esplicitamente la polemica contro la metafisica della musica di Schopenhauer con argomentazioni molto vicine a quelle blochiane. Più controverso il rapporto con il Benjamin della erste Fassung e della Zweite dell'Opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica (1935), il libro forse meno riuscito di Benjamin, secondo cui l'opera d'arte nella contemporaneità finirebbe per perdere la sua caratterizzazione 'auratica'. L'analisi andersiana del registro situazional-musicale porta alla conclusione diametralmente inversa: non solo l'arte non perde la sua aura, nell'epoca della tecnica, ma, andando nella direzione feconda di una nuova opera d'arte totale, nella riproducibilità di un'immagine-suono o suono-immagine non più integralistica e, dunque, non più vincolata e vincolabile alla pregiudiziale del linguaggio della tecnica e della pubblicità, ne acquisisce una ancor più incisiva. Tale dimensione 'auratica' viene costruita sul concetto di immagine-suono (suono-immagine), considerato come fenditura, lacerazione, testo, dettaglio, e riguadagna la via per una rinnovata sovranità auratica. La musica come "realtà della situazione di trasformazione" o, nei termini del Benjamin del Frammento teologico politico, "il ritmo della natura messianica", nelle sue trasparenti mediazioni ebraiche, riesce a promuovere la redenzione e l'attualità della liberazione interiore. In una direzione più generale, comunque, rimane una convergenza di fondo, per quanto concerne il ruolo propulsivo delle emozioni, con quella che Bloch definisce ermeneutica del desiderio, degli affetti d'attesa.


3 - Un altro pensiero che circola in queste pagine è quello di Hegel. Basti pensare alle riflessioni hegeliane sulla dimensione poietica-fabbrile dell'uomo.

Mi sembra che il legame con Hegel, in taluni casi, sia molto forte. Penso, in particolare, a quel bellissimo passaggio di New York 1949, datato 30 aprile in cui Anders precisa le coordinate teoriche della sua proposta 'antropologica'; ad esser chiamata in causa è la posizione eretta dell'uomo, da sempre considerata come "differenza specifica" dell'essere umano e che, per Anders, è, in primo luogo, affrancamento dal suolo e com-prensione degli oggetti, custodendoli, possedendoli, utilizzandoli senza 'esaurirli in maniera bestiale'. La 'chiosa' di Anders è in proposito molto illuminante: "…libera di fabbricare; dunque libera per l'idea. Perché cos'altro è 'l'idea' se non l'immagine ideale di ciò che si fabbrica? - Quindi: in un sol colpo d'occhio la stazione eretta si propone come l'essere-homo faber e come spirito. I tratti distintivi umani che insensatamente furono considerati in modo separato, si disvelano essere un tratto distintivo unico" (p. 107). Come non pensare a quelle pagine della Introduzione alle Lezioni di estetica hegeliana, in cui dopo un'approfondita esamina dei due Verhalten, il teoretico ed il pratico, si apre lo spazio alla considerazione della dimensione poietico-fabbrile del Geist e dell'uomo als Geist per 'superare la spröde Fremdheit, la "riottosa estraneità" del mondo, della natura, della realtà in genere: "L'uomo fa questo per togliere, come libero soggetto, al mondo esterno la sua riottosa estraneità e godere nella forma delle cose solo una realtà esterna di se stesso". Primato della forma poietico-produttiva del sapere che era già presente come un'istanza centrale della filosofia hegeliana là dove veniva postulata la più compiuta analogia fra le nozioni di Geist e di Arbeit come formazione, come elaborazione. Hegel, infatti, si riferisce spesso all'attività incessante dello spirito, di una Arbeit intrinseca al Geist, al suo modo d'essere più peculiare. La dimensione antropologica andersiana come in grado di 'fabbricare' ricorda - e si tratta di un'analogia non solo letteraria - la celebrazione hegeliana della capacità di progettazione formale del soggetto, formale ed al contempo formante.

Il "pathos della distanza" potrebbe essere la cifra entro la quale collocare le considerazioni andersiane sull'amore e sulla seduzione. Pensiamo alle bellissime pagine dedicate alla figura di Don Lisardo, che preferendo la via breve alla vie traverse, si preclude la strada del ricordo.

Mi sembra veramente un tema centrale ed un nodo teoreticamente essenziale. Penso in particolare a quella pagina di New York 1949, in Amare ieri (p. 115), in cui Anders commenta il dialogo tra Don Lisardo e il giudice: "Ciò che il testo ci propone è, come penso, una falsificazione: vale a dire la storia di uno scellerato impertinente, cui il giudice aveva sottratto con arti magiche tutti ricordi, per derubarlo del piacere postumo e della vanità. Lo scrittore avrebbe potuto comunque risparmiarsi il ricorso alla magia. Ma forse non lo fece perché giudicò troppo inaudita la verità della storia e non volle accettarla per questa sua enormità. Forse gli dispiaceva ammettere che lo scacco dello scellerato non era un caso unico; che non aveva niente a che fare con la presunta malvagità del presunto scellerato; che, piuttosto, non c'è un solo uomo che sfugga a questo sentimento: che nessuno, cioè, è in grado di trattenere la cosa stessa, di rammemorare l'attimo culminante" (p. 115). Quello che viene definito il "pathos della distanza" è dunque l'interpretazione ottimale per contestualizzare le riflessioni andersiane sull'amore e sulla seduzione, su questi frammenti di vita che non sono temporalizzabili e dunque, neppure da poter rammemorare se l'essenza della memoria sta nello svuotare la realtà, nel derealizzarla, nel sottrarle le articolazioni indispensabili. La memoria non potrà mai far tornare a vivere gli attimi decisivi. Per questo Don Lisardo sceglie la via breve a quella 'traversa', precludendosi in tal modo la strada della rammemorazione.

4 - Professore, Amare ieri è innervato di riferimenti musicali. Pensiamo soprattutto al riferimento alla figura del Don Giovanni, scelta da Anders per tratteggiare la dialettica desiderio-appagamento.

Ho già ricordato che Anders è stato attraversato in profondità dall'esperienza musicale dal punto di vista teoretico come dal punto di vista strettamente critico-militante. In Amare ieri, per esempio, alcune menzioni musicali svolgono il ruolo di commentario in senso lato filosofico. Scelgo un frammento, datato 26 febbraio, della seconda parte di New York 1949, in cui sottilmente, in una fenomenologia rovesciata dell'amore, s'individua la bassezza della sessualità in due profili, quello dell'asceta, "che vede, in ogni individuo, in ogni partner amoroso, solo il generale, in ogni donna, solo la femmina e che considera questa una 'bassezza' senza alcuna speranza" (p. 92) ed ancora quello del Don Giovanni, "reso folle dall'incontrare la femmina sempre solo al plurale, senza mai potersi impadronire del comune singolare, e che dunque passa tormentosamente da un amore all'altro" (p. 92). Riflessione strettamente connessa alla dialettica desiderio-appagamento. L'attimo e ciò che lo precede, il desiderio, 'amore, nella sua cifra pulsionale-espansiva, non sono reiterabili e, dunque, neppure temporalizzabili. Il desiderio si esaurisce con il suo appagamento e questo processo, che non ha nulla a che fare con la rimozione, è l'esatto controaltare del 'ricordare', in quanto il 'ricordo' ha una sua effettualità conservativo-perdurativa che tende a spegnere l'efficacia dell'appagamento. Il desiderio come antitesi di quelle che sono le scelte dominanti della società contemporanea, le scelte funzionali delle vie brevi o 'traverse' (psicoanalisi e pragmatismo). La figura del 'Don Giovanni' mozartiano come cifra del desiderio e dell'attimo, che vengono definiti in maniera lucidissima in New York, 1949 (p. 118): "Non è solo l'attimo che non è rammemorabile, ma anche ciò che lo precede: il desiderio. E precisamente in quanto il desiderio è ciò che è per essere soddisfatto, dunque per non perdurare. Esso si esaurisce con il suo appagamento".

Ed ancora il Wagner dell'Olandese volante fino al Tristano e Isotta per illustrare quella che Anders definisce "liberazione dall'individualità" (p. 89). Non vi è dunque scansione o sottolineatura musicale che non sia accompagnata da Anders da una citazione musicale.
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