L’umanità della tecnica è la morte dell’uomo

[SPECIALE]

Emanuele Severino

Emanuele Severino
professore di Filosofia teoretica all’Università di Venezia, insegna Ontologia fondamentale presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. Nelle sue ricerche ha offerto un’interpretazione della filosofia occidentale che sottolinea lo scacco del pensiero metafisico da Platone a Nietzsche e Heidegger. Per superare
le aporie nichilistiche
della tradizione metafisica evidenti anche nel discorso moderno della tecnica, ha promosso un ritorno a una filosofia dell’Essere che escluda rigorosamente il non-essere e il divenire.
Fra le sue opere recenti:
La gloria (Milano 2001); Oltre l’uomo e oltre Dio (Genova 2002); Nascere
e altri problemi della coscienza religiosa (Milano 2005); Fondamento della contraddizione (Milano 2005); La filosofia futura. Oltre il dominio del divenire (Milano 2006)

In ricordo di Jacques  Derrida

EMANUELE SEVERINO

«L’UMANITÀ DELLA TECNICA È LA MORTE DELL’UOMO»

a cura di Gianfranco Cordì

Al «Teatro Carani» di Sassuolo si tiene l’ultima Lezione Magistrale di questa sesta edizione del «Festivalfilosofia» di Modena prevista originariamente in Piazza. La lezione è stata spostata nella sala del teatro «Carani» a causa della pioggia caduta su Sassuolo fin dalla mattina.
Il titolo della Lezione è «L’essenza della tecnica» e a parlare è Emanuele Severino.

Emanuele Severino: «L’argomento di questa Lezione Magistrale non è stato proposto da me. Io mi sono limitato solo ad accettarlo ma l’ho fatto volentieri. E devo dire che l’argomento propostomi si sposa molto bene (nei miei intenti) con l’argomento del Festival di quest’anno, ovvero: umanità. Infatti quando io parlo di essenza della tecnica intendo parlare dell’umanità della tecnica.
L’umanità della tecnica è la morte dell’uomo. Ora, che la tecnica oggi sia un argomento di estrema attualità ci viene detto esplicitamente da un’affermazione di Ratzinger. Il papa, proprio recentemente, ha affermato che i non Occidentali ammirano la tecnica di cui è in possesso l’Occidente ma temono molto la laicità che impera nello stesso Occidente. Mi piace citare a questo punto lo storico Toynbee. Toynbee disse che quando la tecnica occidentale è giunta nel mondo essa è stata accettata. Anche se in realtà quando la tecnica è arrivata nel mondo c’è stata una grande reazione da parte del Cristianesimo. L’ Islam, dunque, non critica la nostra tecnica, critica il nostro modo di pensare. E riguardo all’ateismo voglio dire subito una cosa. Quando si parla di ateismo ci sono parecchi atteggiamenti ateisti che bisogna considerare. Dall’ateismo “di strada” su su salendo fino a forme sempre più rigorose di ateismo. Oggi, i popoli Occidentali prevalentemente, si stanno allontanando da Dio. E in maniera anche massiccia. Ma questo atteggiamento - facciamo attenzione - può essere altrettanto dogmatico dell’atteggiamento opposto: di tutti coloro che vogliono rimanere fedeli a Dio. Esiste una piramide. Dall’ateismo di strada a salire passando per atteggiamenti e modi di comportamento nei quali viene manifestata una crescente forza di negazione della tradizione, del passato. Ed è certamente diversa la negazione di strada del divino dalla negazione incontrovertibile del divino. Il vertice della piramide per me è costituito dalla filosofia degli ultimi due secoli. Sicché l’autentico nemico dell’Islam non è l’Occidente ma è appunto l’ateismo stesso. E non l’ateismo nella sua forma diffusa (attraverso i vari strati della piramide). Ma quell’atteggiamento che mostra (in sé stesso) l’impossibilità di qualsiasi adesione al passato.
Il nostro tempo, il tempo che stiamo vivendo, non è un tempo fatto di semplice scetticismo. Esso è fondazione dell’impossibilità di un Ordinamento Assoluto quale è appunto quello proposto dal passato. Che è poi l’ordinamento divino. La tecnica si trova perciò in un rapporto essenziale con questa piramide. Ed inoltre la riflessione filosofia sulla tecnica è essenziale nei riguardi della potenza stessa della tecnica. Infatti essa è una riflessione che determina l’efficacia della tecnica cioè la concretezza della tecnica. La tecnica poi procede anche in relazione ai limiti che i tecnici credono di avere davanti. Una delle immagini che mi piace proporre quando affronto questi temi è quella di un teatro. Se io so che un teatro, se so che questo teatro è arredato non mi posso certo muovere con quella libertà che ho quando so che questo teatro non è arredato per nulla. E cioè: se credo che questo teatro è arredato io ho dei limiti. Per cui, se uno crede che quello che egli ha di fronte agli occhi sia l’arredamento dell’Intero Universo, la tecnica si trova ad essere frenata. E lo è rispetto alla situazione, per esempio, in cui si è venuto a trovare uno che crede che o la tecnica non ci sia per nulla o sia essa stessa spostabile. Ma: cosa c’è al vertice della piramide? E cosa c’entra questa piramide con la tecnica? La filosofia degli ultimi duecento anni ha affermato che il mondo non è “arredato”; cioè che non ha limiti. Non esiste alcun limite inviolabile dell’Universo, questo ci ha detto la filosofia degli ultimi due secoli. Ratzinger, adesso, dà per scontata la falsità dell’ateismo. Ma che l’ateismo sia un dogma più o meno rigoroso, questo è indubbio.
Il vertice della piramide consiste perciò nel mostrare l’impossibilità di Dio. Esso è la morte nella fede in Dio. E dunque: l’autentico nemico dell’umanità religiosa è quella potenza straordinaria della tendenzialmente nascosta potenza del pensiero filosofico degli ultimi duecento anni. Al vertice della piramide, detto per inciso, non vi abitano i grandi nomi della filosofia cui tutti siamo abituati. Non ci sono né Heidegger né Wittgenstein. Ma io invece ci metterei i nomi di Nietzsche, Gentile e Leopardi. E’ proprio grazie a Leopardi che noi possiamo dire che il vertice della piramide è anche il vertice dell’errare. Dunque il senso del mio discorso è questo: una volta che sia dato il modo in cui la civiltà ha mosso i suoi primi passi ne segue per necessità l’avvento della civiltà della tecnica. Ma, la validità della distruzione del passato in che cosa consiste? In che cosa consiste la potenza di questa distruzione? La tradizione pone al di sopra della storia e del tempo l’immutabilità di Dio. E di una verità (che è invenzione dei greci) che non può essere in alcun modo smentita. Questa verità è: la radicalità della verità. Col pensiero contemporaneo questa radicalità crolla. E questo è un crollo gigantesco.
Ed allora chiediamoci: da cosa può essere salvato l’uomo oggi? Io credo che esso può essere salvato solo se viene affermato quel Dio che domina il mondo grazie a strutture immutabili. Ovvero bisogna affermare, di fronte a questo quadro, il divino - l’immutabile che è illuminato dalla verità - che la filosofia pretende di aver portato alla luce. E tutto questo è dato dal fatto che l’Occidente nasce evocando insieme il Dio che salva dall’angoscia, quell’angoscia che è provocata dal divenire delle cose. Questo Dio (in quanto legge) è la legge che dice che l’Occidente è la fede nel futuro come il già nulla e nel passato come l’ancor nulla. Dunque l’esistenza dell’Ordinamento Immutabile trasforma il nulla (del passato e del futuro) in un ascoltatore della legge dell’essere. Se esiste quella verità che i greci chiamavano episteme, allora la nullità del passato e del futuro diventa il loro nuovo essere (del passato e del futuro). Il passato ed il futuro diventano due ascoltatori dell’essere. E se esiste un Dio, esso si identifica col nulla dell’essere. La filosofia del nostro tempo (se adeguatamente sondata) dice alla tecnica: tu puoi, tu non hai limiti.
Oggi la forma vincente di tecnica non è quella che è frenata dai valori del passato. Oggi è vincente quella tecnica che è senza freni. Essa è la potenza più forte che è apparsa fra tutte quelle che si sono presentate durante l’intero corso della storia. Essa dunque gerarchizza le potenze del passato. Ed è impossibile che esista un Ordinamento Assoluto perché un Ordinamento di questo tipo trasformerebbe il nulla in un essente. La tecnica oggi inoltre balza in alto. Tutto questo per me ha un nome: io lo chiamo “destinazione della nostra civiltà alla tecnica”. Ora voglio dirvi questo: in tale destinazione l’uomo muore. Cioè la stessa esistenza dell’uomo provoca una radicale contraddizione. Heidegger diceva che non è tanto la tecnica con le sue trasformazioni ad essere un problema. Oggi secondo lui il problema è invece quello dell’uomo stesso. Che è assolutamente impreparato a questa radicale trasformazione del mondo. E perciò: perché io ho affermato che l’essenza della tecnica è l’umanità della tecnica? Perché - in virtù di questa pluralità di modi di essere della tecnica - l’uomo di fronte alla tecnica si trova come di fronte a qualcosa di disumano. Ma questa pluralità di forze è composta da forze che si trovano in un rapporto conflittuale fra loro. E dicendo la parola “conflitto” noi non stiamo dicendo solo una semplice parola. Esiste anche un conflitto pratico! Le diverse forze che vogliono realizzare l’esser uomo vogliono anche servirsi della tecnica (che è condotta e guidata dalla scienza moderna). Ma nel conflitto è inevitabile che i confliggenti vogliano sempre di più aumentare quella stessa potenza con cui essi vogliono realizzare il loro esser uomo.
Per cui, volendo tornare all’inizio di questa mia Lezione, le grandi forze della tradizione intendono servirsi della tecnica cercando di aumentare la potenza stessa dello strumento che si trovano davanti. Però occorre anche dire che il punto decisivo non è questo. Il punto decisivo è che ognuna di queste forze si serve di una frazione dell’Apparato Tecnologico. Preoccupata (come essa è) di non intralciare il funzionamento ottimale dello strumento che si trova di fronte. Nell’Unione Sovietica, per esempio, ci si accorse ad un certo punto che il marxismo intralciava il funzionamento dell’Apparato Tecnologico. Quando ognuna di tali forze - il marxismo, la Chiesa Cattolica, la democrazia, eccetera - bada soltanto a non intralciare la tecnica: allora la potenza di questa forza diventa il suo scopo. E se una certa forza non funziona come mezzo essa viene buttata via (come è accaduto, per esempio, al marxismo nell’ Unione Sovietica). Se invece una certa forza funziona come mezzo tale forza viene tenuta. Ma l’uomo che originariamente era scopo quando diventa mezzo è diventato altro. E per questo che ho affermato che l’uomo muore. Ora, è certamente vero che esiste una pluralità di modi di intendere l’uomo. Ma al di sotto di ciò (di tale pluralità di modi) esiste però un denominatore comune. E questo denominatore comune è quello per cui noi affermiamo che la tecnica è qualcosa di umano. Che la tecnica è umana. Ma tale denominatore comune è ovunque negli uomini; esso è presente in San Francesco come in Buddha ed in Gesù Cristo come in Aristotele ed in Marx. Esso è la convinzione che l’uomo sia un centro cosciente di forze capace di organizzare tutti i mezzi in vista della produzione di scopi. Ed (evitando le strade di chi si da molto da fare) tutto ciò è l’estrema potenza che viene realizzata; che si realizza. Questo tipo di uomo è il contenuto stesso della tecnica. Ma la tecnica ne possiede uno suo di scopo! Essa vuole da ultimo l’incremento indefinito della capacità di realizzare scopi. Ed ecco allora che noi possiamo parlare di morte dell’uomo ideologico ed allo stesso tempo di inveramento dell’uomo soggiacente. Perciò ci risulta adesso chiaro che l’essenza della tecnica è la stessa umanità della tecnica. Ovvero l’uomo è morto o è destinato a morire, cioè è destinato a diventare un mezzo per aumentare la potenza della tecnica».


Emanuele Severino ed io parliamo insieme nel foyer del Teatro «Carani» subito dopo la conclusione della sua Lezione Magistrale.
Gli domando: a proposito di Friedrich Nietzsche, Lei nel suo libro Il muro di pietra ha scritto: «L’eterno ritorno di Nietzsche è tanto lontano dalla routine della produzione capitalistico-tecnologica quanto è lontano dalla concezione capitalistico-tecnologico dell’eterno ritorno» (p.102). Ora, se questo pensatore non può essere considerato, dal suo punto di vista, né un figlio degli antichi greci né il padre della Coca Cola o della MacDonald’s, come può essere dunque valutata l’importanza che Nietzsche ha avuto ed ha nella storia del pensiero? Visto che Lei stesso, poco più sotto del passo ricordato, ha scritto che Nietzsche rappresenta comunque uno dei «grandi punti di riferimento del nostro tempo»?
È uno dei grandi distruttori del passato. Uno dei testi da tenere presente in questo senso è il Così parò Zarathustra. E precisamente quel capitolo sulle «Isole beate» in cui Zarathustra dice: che cosa mi rimarrebbe da creare se gli dèi esistessero? Io non potrei creare nulla! Il sottinteso è: ma io sono creatore e cioè il divenire esiste. Dunque gli dèi esistono. Ecco che va letta questa affermazione al rallentatore nel contesto di quel capitolo per capire la potenza di tutto questo discorso che non è per niente il discorso fatto da un letterato o da un esaltato come spesso si dice.

Giacomo Leopardi in genere non viene annoverato tra i filosofi, Lei però ha dichiarato che “si tratta di riconoscere la formidabile presenza della filosofia” nel suo linguaggio. Prof. Severino, Le allora vorrei chiedere: quand’è che ci si accorge di tale “formidabile presenza della filosofia” nel linguaggio di Leopardi?
Nello Zibaldone. Libro che io invito a chiamare non così ma «Pensieri». Perché Leopardi aveva usato anche questo titolo «Pensieri di letteratura e di varia filosofia» e ciò è molto indicativo a mio giudizio. Sono più di 4500 pagine. È come se si chiedesse stando in una pianura sconfinata: dov’è la pianura? Vede, basta aprire quel volume enorme per trovare quello che Lei mi sta chiedendo ora.

In realtà, quasi sempre nei riguardi dei poeti noi riteniamo più saliente l’aspetto sentimentale…
Nel caso di quel volume e di Leopardi no. La sua è vera filosofia in senso anche tecnico. Ed in Leopardi è presente anche la matematica (in senso anche tecnico). Leopardi ha tutte le carte in regola - anche dal punto di vista filosofico scritturale - per essere considerare filosofo a tutti gli effetti… E poi con una precocità assoluta, tipo Schelling.


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